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Emissioni Co2, record di anidride carbonica nell’atmosfera. “Balzo del 50% sulla media dell’ultimo decennio”

Un rapporto presentato dalla World Meteorological Organization certifica che le concentrazioni di gas serra sono passate da 400 a 403,3 parti per milione, a rischio il raggiungimento degli obiettivi fissati con gli accordi di Parigi. I Verdi: “Necessario un piano energetico formato al 100% da energie rinnovabili entro il 2050”

“È il maggiore incremento che abbiamo osservato nei 30 anni dalla nostra attività”. A lanciare l’allarme sull’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera è un rapporto presentato dalla World Meteorological Organization (Wmo). I livelli di Co2 hanno raggiunto livelli che sulla Terra non si registravano da 3 a 5 milioni di anni fa. “Abbiamo avuto un balzo del 50% sulla media dell’ultimo decennio“, ha spiegato Oksana Tarasova, responsabile del programma globale di controllo dell’atmosfera terreste al Wmo. Il report ha esaminato il periodo 2015-2016 e analizzato i dati di 51 Paesi. Le concentrazioni di gas serra sono passate da 400 a 403,3 parti per milione. “Il precedente aumento massimo registrato prima risaliva al 1997-98: 2,7 parti per milione contro gli attuali 3,3″. Principale artefice di questo cambiamento, oltre alle emissioni prodotte dall’uomo, è stato El Niño, un fenomeno climatico che riscalda le acque dell’Oceano Pacifico che ha causato una grave siccità e ridotto la capacità delle piante di assorbire l’anidride carbonica.

A commentare la situazione anche il segretario generale del Wmo, Petteri Taalas: “Senza rapidi tagli sulle emissioni di Co2 e di gas a effetto serra andremo verso pericolosi aumenti di temperature entro la fine di questo secolo, ben al di sopra dell’obiettivo fissato dall’accordo di Parigi sul cambiamento climatico“. Anche l’Unione europea si era mossa per cercare di controllare le emissioni, proponendo delle sanzioni per le case automobilistiche che non riusciranno a rispettare il rispetto dei limiti imposti dalla legge.

“È necessario un piano energetico formato al 100% da energie rinnovabili entro il 2050 e il contestuale addio definitivo al carbone entro il 2025, seguendo l’esempio di Finlandia, Portogallo, Irlanda, Austria, Svezia e Danimarca”. Questa la soluzione proposta dai coordinatori dei Verdi Angelo Bonelli, Luana Zanella e Gianluca Carrabs. “Il rapporto del Wmo – continuano – certifica che il problema dei cambiamenti climatici è fondamentale e prioritario su qualsiasi altro”. Secondo il gruppo, è fondamentale che il governo “organizzi urgentemente una Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici che aiuti il nostro Paese ad affrontare le sfide che ci attendono. Dobbiamo sbrigarci prima che sia troppo tardi”.

Fonte: Ilfattoquotidiano.it

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Basilicata, lo studio sullo stabilimento Eni di cui nessuno parla: “Vicino al Centro Oli la mortalità è più alta della media”

Quattro anni di analisi di cartelle cliniche, questionari, esami sulla popolazione e, fino ad oggi, non un rigo su un quotidiano o un tg nazionale, – escluso il Fatto – nonostante le conclusioni alle quali è giunto il team di ricerca, dopo aver scandagliato i comuni di Viggiano e Grumento Nova, siano limpide: “Mortalità e i ricoveri ospedalieri sono superiori alla media regionale”. E il Cane a sei zampe ha indetto una conferenza stampa preventiva per provare a smontare i dati

Ci hanno lavorato 29 ricercatori e tecnici di tre istituti del Cnr, del Dipartimento di biologia dell’università di Bari e del Dipartimento del Servizio sanitario della Regione Lazio. È lo studio più importante mai realizzato sul Centro Oli di Viggianodell’Eni, quello finito al centro dell’indagine della procura di Potenza assieme a Tempa Rossa e che arrivò a sfiorare le stanze del governo. Quattro anni di analisi di cartelle cliniche, questionari, esami sulla popolazione e, fino ad oggi, a oltre una settimana dalla presentazione, non un rigo su un quotidiano o un telegiornale nazionale, se si esclude il Fatto Quotidiano, il Tg regionale della Rai (il Manifesto e due brevi articoli sul dorso regionale campano di Repubblica). Nonostante le conclusioni alle quali è giunto il team di ricerca, dopo aver mappato e scandagliato i comuni di Viggiano eGrumento Nova, i due più vicini all’impianto di prima raffinazione del Cane a sei zampe in Basilicata, siano limpide: “Dalla Valutazione d’impatto sanitario emerge che nei due comuni la mortalità e i ricoveri ospedalieri tra il 2000 e il 2014 sono superiori alla media regionale e dei 20 comuni della Concessione Val d’Agri, sebbene la popolazione studiata sia di piccole dimensioni”. Non solo, perché secondo i ricercatori, “uno studio microgeografico ha consentito di stabilire una associazione di rischio fra l’aumento di mortalità e/o ricoveri per malattie del sistema circolatorio, in particolare ischemiche, per malattie dell’apparato respiratorio e l’esposizione alle emissioni del Centro Oli, in particolare nelle donne”. Solo venerdì, dopo una settimana di silenzio, il presidente della Regione, Marcello Pittella, ha dato una scossa annunciando di voler inviare i risultati ai ministeri dell’Ambiente e della Salute, specificando: “Non minimizzo, non drammatizzo: prendo atto“.

La smentita preventiva – Gli unici a saltare immediatamente sulla sedia sono stati proprio gli uomini dell’Eni, che hanno convocato una conferenza stampa preventiva per provare a smontare i dati pur non avendo a disposizione lo studio integrale. Proprio così: la prima presentazione ufficiale era in programma venerdì 22 settembre a Viggiano, ma già mercoledì 20 i vertici della multinazionale del petrolio avevano espresso i propri dubbi in sette punti su ciò che, secondo i consulenti, non torna nelle 563 pagine di rapporto stilato dal team coordinato dal professor Fabrizio Bianchi dell’Istituto di fisiologia clinica del Centro nazionale per le ricerche, incaricato dai due comuni ormai quattro anni fa di svolgere lo studio, arrivato a conclusione tra mille difficoltà e paletti, posti anche dall’amministrazione regionale, come aveva raccontato ilfattoquotidiano.it nei giorni successivi all’indagine della procura di Potenza.

I dati all’interno dei due comuni – Nei numeri forniti dai ricercatori, ce ne sono alcuni particolarmente rilevanti perché mettono in correlazione l’esposizione degli abitanti di Viggiano e Grumento Nova agli inquinanti dell’impianto di raffinazione del petrolio. “All’aumentare dell’esposizione alle emissioni del Centro Oli aumenta il rischio di morte e/o di ricovero” per alcune patologie, sentenzia il team di ricerca. “Dalle analisi di mortalità – è scritto nella sintesi del rapporto – si osserva un eccessostatisticamente significativo per le malattie del sistema circolatorio”. Un dato riscontrato sia nelle donne, con un “+63%nella classe di esposizione più alta rispetto alla più bassa”, sia se si considerano anche gli uomini (+41% complessivo). Eccessi di rischio statisticamente significativi emergono anche dalle analisi dei ricoveri: per le malattie del sistema circolatorio nelle donne, scrivono gli studiosi, l’aumento è del 41 per cento nella classe di maggiore esposizione rispetto a quella meno esposta all’interno dei due comuni, mentre per le malattie ischemiche e per le malattie respiratorie, sempre nelle donne, il rischio sale rispettivamente dell’80 e del 48 per cento.

Il rapporto con il resto della Basilicata – Se si considera come parametro di riferimento tutta la popolazione lucana o quella dei 20 comuni interessati dalle estrazioni petrolifere, la questione non cambia. Tra il 2000 e il 2014, rispetto alla Basilicata, la mortalità aumenta del 14% per “malattie del sistema circolatorio” e dell’11 per cento per “tutte le cause”. Mentre il paragone con gli altri Comuni della Val d’Agri mostra un +15% di aumento di mortalità per tutte le cause e un incremento del 32% nelle donne per malattie del sistema circolatorio. I risultati, sintetizza lo studio, “confermano quanto emerge dalla letteratura scientifica che riporta prove sufficienti per attribuire un ruolo causale a inquinanti atmosferici tra cui quelli presi in considerazione”.

Cosa fa il centro Oli e la risposta di Eni – Il Centro Oli è in attività dal 1996 e serve per separare la miscela di idrocarburi, gas naturali e acque di strato estratte dai pozzi petroliferi che si trovano nelle aree circostanti. L’impianto, insomma, effettua un primo trattamento del petrolio che poi viene raffinato a Taranto, dove arriva attraverso un oleodotto attivo dal 2001. Lo stabilimento dell’Eni è finito nuovamente al centro delle cronache per una sospensione delle attività legata ai sospetti di inquinamento del suolo e delle acque, che questo studio – tra l’altro – smentisce. Ma mette dei punti fermi sotto il profilo sanitario analizzando i composti organici volatili e altre sostanze emesse dai camini del Centro Oli. E su questi Eni ha deciso di rispondere lo scorso 20 settembre, quando ancora il team non aveva presentato ufficialmente l’intero rapporto esprimendo sette “perplessità” tecniche alle quale il coordinatore ha controreplicato, punto per punto, sul proprio sito. 

Lo studio sulle funzionalità respiratorie – I tre centri del Cnr e gli altri enti coinvolti nella Valutazione d’impatto sanitarionon si sono limitati ad analizzare dati e cartelle cliniche, ma hanno anche svolto attivamente analisi. Una parte dello studio si è soffermata sulle funzionalità respiratorie della popolazione residente a Viggiano e Grumento Nova. Dopo aver sottoposto a screening un campione di 200 abitanti, la conclusione è chiara anche se, ha spiegato Bianchi davanti alla Terza commissione regionale, “non stabiliamo un nesso causa-effetto” per questo tipo di malanni. “L’analisi dei dati ha mostrato che per la maggior parte dei sintomi considerati – si legge nel rapporto – emerge unrischio più elevato nell’area prossimale al Centro Olio”. In particolare, il sottogruppo che vive vicino all’impianto “è significativamente più soggetto a tosse al di fuori dei comuni raffreddori per alcuni periodi dell’anno” con un aumento del rischio del 149% e a “sintomatologie allergiche respiratorie associate a sintomatologia a carico degli occhi rispetto al gruppo che vive più lontano” con una differenza dell’aumento del rischio pari al 153 per cento. “Da noi – dice Bianchi a ilfattoquotidiano.it – non sentirete mai la parola allarme, ma certamente questi dati sonopreoccupanti e meritano approfondimenti”. La palla, ora, passa alla giunta regionale: “Alcuni degli inquinanti che abbiamo utilizzato nel nostro studio – aggiunge il coordinatore del progetto – non hanno limiti normati. Se la Regione Veneto si sta muovendo sui Pfas, la Basilicata potrebbe seguire l’esempio”.

Pittella: “Valutino i ministeri” – Ma il presidente Pittella che da un lato si dice “pronto a tutto”, anche a ordinare la chiusura del Centro Oli, chiede prima che siano i ministeri a vagliare e approfondire le conclusioni dello studio epidemiologico e ne annuncia uno più ampio su tutta la Val d’Agri: “Siamo chiamati a rispondere con rigore sul piano scientifico – ha detto dopo una settimana – e saremo inflessibili e severissimi su tale aspetto”. Dal canto suo, Bianchi si dice sereno: “Ho la serenità di chi ha utilizzato il disegno di studio epidemiologico più evoluto tra quelli oggi disponibili, dati ambientali e sanitari di buona qualità – spiega il coordinatore del progetto – Abbiamo messo in campo metodi e strumenti di analisi accreditati a livello internazionale, conclusioni e raccomandazioni strettamente basati sui risultati conseguiti”.

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Fonte: IlFattoQuotidiano.it

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Tutta la plastica che beviamo

Numerose ricerche mostrano la presenza di fibre di plastica negli oceani, nelle acque dolci, nel suolo e nell’aria. Questo studio è il primo a provare l’esistenza di una contaminazione da plastica nell’acqua corrente di tutto il mondo

Di Dan Morrison
e Chris Tyree

In collaborazione con ORB

Dai rubinetti di casa di tutto il mondo, da New York a Nuova Delhi, sgorgano fibre di plastica microscopiche, secondo una ricerca originale di Orb Media, un sito di informazione non profit di Washington.

Lavorando insieme ai ricercatori dell’Università statale di New York e dell’Università del Minnesota, la Orb Media ha testato 159 campioni di acqua potabile di città grandi e piccole nei cinque continenti. L’ottantatré per cento di questi campioni, compresa l’acqua che esce dai rubinetti del Congresso degli Stati Uniti e della sede dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente, a Washington, e quella del ristorante Trump Grill nella Trump Tower, a New York, conteneva microscopiche fibre di plastica. E se ci sono nell’acqua di rubinetto probabilmente ci sono anche nei cibi preparati con l’acqua1, come pane, pasta, zuppe e latte artificiale, dicono i ricercatori.

«È una notizia che dovrebbe scuoterci», ha scritto Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace 2006. «Sapevamo che questa plastica tornava da noi attraverso la catena alimentare. Ora scopriamo che torna da noi attraverso l’acqua potabile. Abbiamo una via d’uscita?». Yunus, il fondatore della banca di microcredito Grameen Bank, progetta di lanciare un’iniziativa contro lo spreco di plastica nei prossimi mesi.

Sono sempre più numerose le ricerche che dimostrano la presenza di microscopiche fibre di plastica negli oceani, nelle acque dolci2, nel suolo3 e nell’aria4, in tutto il mondo. Questo studio è il primo a provare l’esistenza di una contaminazione da plastica nell’acqua corrente di tutto il mondo.

Gli scienziati non sanno in che modo le fibre di plastica arrivino nell’acqua di rubinetto, o quali possano essere le implicazioni per la salute. Qualcuno sospetta che possano venire dai vestiti sintetici, come gli indumenti sportivi, o dai tessuti usati per tappeti e tappezzeria. Il timore è che queste fibre possano veicolare sostanze chimiche tossiche, come una sorta di navetta che trasporta sostanze pericolose dall’acqua dolce al corpo umano.

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Negli studi su animali, «era diventato chiaro molto presto che la plastica avrebbe rilasciato queste sostanze chimiche, e che le condizioni dell’apparato digerente avrebbero facilitato un rilascio piuttosto rapido», dice Richard Thompson, direttore associato della ricerca presso l’università di Plymouth, nel Regno Unito.

«Dalle osservazioni sulla fauna selvatica e l’impatto che sta avendo questa cosa abbiamo dati a sufficienza» per essere preoccupati, dice Sherri Mason, una delle pioniere della ricerca sulla microplastica, che ha supervisionato lo studio della Orb Media. «Se sta avendo un impatto sulla fauna selvatica, come possiamo pensare che non avrà un impatto su di noi?».

La contaminazione sfida le barriere geografiche e di reddito: il numero di fibre trovate nel campione di acqua di rubinetto prelevato nei bagni del Trump Grill è uguale a quello dei campioni prelevati a Quito, la capitale dell’Ecuador. La Orb Media ha trovato fibre di plastica perfino nell’acqua in bottiglia, e nelle case in cui si usano filtri per l’osmosi inversa.

Le autorità americane non fissano un livello di sicurezza per le particelle di plastica nell’acqua potabile, ha detto una portavoce dell’Epa (l’Agenzia per la protezione dell’ambiente), e non le hanno nemmeno inserite nella lista delle possibili sostanze contaminanti rinvenibili nell’acqua di rubinetto. L’Unione Europea impone agli Stati membri di garantire che l’acqua potabile sia libera da sostanze contaminanti.

Dei 33 campioni d’acqua prelevati in varie città degli Stati Uniti, il 94 per cento è risultato positivo alla presenza di fibre di plastica, la stessa media dei campioni raccolti a Beirut, la capitale del Libano. Fra le altre città prese in esame, figurano Nuova Delhi in India (82 per cento), Kampala in Uganda (81 per cento), Giacarta in Indonesia (76 per cento), Quito in Ecuador (75 per cento) e varie città dell’Europa (72 per cento).

La Mason, che presiede il dipartimento di geologia e scienza ambientale dell’Università statale di New York (sede di Fredonia), ha progettato la ricerca. I test sono stati eseguiti dalla ricercatrice Mary Kosuth, della Scuola di salute pubblica dell’Università del Minnesota. La Kosuth pubblicherà i risultati dello studio nei prossimi mesi, in una rivista scientifica con revisione tra pari.

«Questa è la prima indagine a livello globale sull’inquinamento da plastica nell’acqua di rubinetto, e i risultati rappresentano un primo sguardo sulle conseguenze dell’uso e dello smaltimento della plastica, più che una valutazione complessiva della contaminazione da plastica nel mondo», ha scritto la Kosuth nel compendio della ricerca. «Questi risultati segnalano la necessità di ulteriori test nelle varie regioni e confronti fra una regione e l’altra».

I campioni sono stati raccolti da scienziati di professione, giornalisti e volontari addestrati, seguendo i protocolli stabiliti dalla Mason. «Questa ricerca si limita a scalfire la superficie, ma ha l’aria di essere una questione molto seria», dice Hussan Hawwa, amministratore delegato della società di consulenze ambientali Difaf, che si è occupata della raccolta dei campioni in Libano.

Il regno di plastica

Secondo gli esperti, è troppo presto per capire se la plastica abbia un’importanza comparabile a quella di sostanze contaminanti più note dell’acqua di rubinetto, di origine sia chimica che biologica. «La ricerca sulle conseguenze per la salute umana è appena agli inizi», dice Lincoln Fok, studioso dell’ambiente presso l’Education University di Hong Kong.

La ricerca della Orb «solleva più interrogativi di quelli che risolve», afferma Albert Appleton, ex commissario alle acque del Comune di New York. «C’è un bioaccumulo? Influisce sulla formazione delle cellule? È un vettore per la trasmissione di agenti patogeni nocivi? Se si scompone, che cosa produce?».

Il mondo sforna ogni anno 300 milioni di tonnellate di plastica. Oltre il 40 per cento di questa massa viene usato una volta soltanto, a volte per meno di un minuto, e poi buttato via. Ma la plastica rimane nell’ambiente per secoli. Secondo un recente studio, dagli anni 50 a oggi sono stati prodotti in tutto il mondo oltre 8,3 miliardi di tonnellate di plastica.

Secondo i ricercatori, migliaia di miliardi di pezzettini di questo materiale sono disseminati sulla superficie dell’oceano. Le ricerche hanno trovato fibre di plastica dentro i pesci venduti nei mercati, nel Sudest asiatico, nell’Africa orientale e in California.

Ma l’idea che l’acqua potabile sia contaminata dalla plastica suscita confusione e scetticismo. «I risultati correnti dei nostri testi non mostrano livelli elevati di plastica o dei componenti derivanti dalla sua scomposizione», mi ha scritto per posta elettronica una portavoce del Dipartimento acqua ed energia di Los Angeles. «Non sappiamo di nessun protocollo standard o metodologia di sperimentazione approvata per la misurazione diretta delle microplastiche». Eppure, due campioni su tre di acqua di rubinetto a Los Angeles contenevano microscopiche fibre di plastica.

«È una cosa brutta: si sentono così tante cose sul cancro», ha detto Mercedes Noroña, 61 anni, dopo essere stata informata che un campione di acqua prelevato dal suo rubinetto di casa, a Quito, conteneva fibre di plastica. «Forse esagero, ma ho paura delle cose che ci beviamo con l’acqua».

È in buona compagnia. Un recente sondaggio Gallup ha riscontrato che il 63 per cento degli americani è «fortemente preoccupato» per l’inquinamento dell’acqua potabile, la percentuale più alta dal 20015.

Fonti nascoste di microplastica

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«Non abbiamo mai trovato niente del genere», dice James Nsereko, un pescatore del lago Vittoria, in Uganda. Un campione di acqua corrente prelevato nel villaggio di Nsereko conteneva quattro fibre di plastica, molto meno di quelle riscontrate in alcuni campioni prelevati negli Stati Uniti: in un campione di mezzo litro di acqua di rubinetto prelevata in un bagno del centro visitatori di Capitol Hill, la sede del Congresso a Washington, sono state trovate 16 fibre, uno dei totali più alti dello studio; e la stessa quantità è stata trovata in un campione raccolto nella sede centrale dell’Epa. In un campione prelevato nella sede del Comune di New York, ce n’erano dieci.

La DC Water, l’ente che gestisce le risorse idriche della capitale statunitense, ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che l’acqua di rubinetto della capitale «soddisfa i criteri fissati dalla legge sulla sicurezza dell’acqua potabile, che includono test per accertare la presenza di prodotti del petrolio, un componente della plastica. Monitoriamo attentamente la comparsa di agenti contaminanti». La Trump Organization non ha risposto alle richieste di commenti che abbiamo inoltrato via telefono e via posta elettronica. Un portavoce del dipartimento delle acque di New York ha detto che l’acqua cittadina soddisfa largamente le linee guida federali.

C’è una fonte di inquinamento da fibre di plastica confermata, e probabilmente ce l’avete indosso. Gli indumenti sintetici emettono fino a 700.0006 fibre a lavaggio, secondo quanto scoperto dai ricercatori dell’Università di Plymouth. Gli impianti di depurazione delle acque reflue negli Stati Uniti ne intercettano oltre la metà7: il resto finisce nei corsi d’acqua, per un totale di 29.000 chilogrammi8 di microfibre di plastica al giorno, secondo uno studio. Secondo alcuni esperti, queste fibre vengono portate dai sistemi idrici negli insediamenti più a valle, ed entrano nelle case attraverso le condutture. «Siamo tutti a valle di qualcuno», sottolinea la Mason.

Un’altra fonte di inquinamento potrebbe essere l’aria. Uno studio del 2015 calcolava che a Parigi, ogni anno, si depositano sulla superficie fra le 3 e le 10 tonnellate9 di fibre sintetiche. «Siamo abbastanza convinti che i laghi [e altri corpi d’acqua] possano essere contaminati da deposizioni atmosferiche cumulative», dice Johnny Gasperi, professore dell’Università di Parigi-Est Créteil. «Quello che abbiamo osservato a Parigi dimostra tendenzialmente che nelle ricadute atmosferiche è presente un’enorme quantità di fibre».

Particelle di plastica nell’acqua potabile: (A) Frammento plastico, continente indiano – (B) Fibra plastica, USA

Questo potrebbe spiegare perché si trovano fibre di plastica anche in sorgenti idriche sperdute, in tutto il mondo. Ma la Orb ha trovato fibre di plastica anche in acque di rubinetto provenienti da falde sotterranee. Fibre di plastica microscopiche, grandi appena un decimo di millimetro, contaminano le acque di falda in posti come Giacarta e Beirut? Oppure le fibre di plastica arrivano nell’acqua attraverso le condutture e i sistemi di depurazione?

Rimaniamo con molte incognite. Quanto è grande il pericolo se, per esempio, le fibre di plastica assorbono perturbatori endocrini, che alterano i sistemi ormonali degli esseri umani e della fauna selvatica, prima di essere consumate attraverso l’acqua potabile? «Non abbiamo mai veramente preso in considerazione questo rischio prima», dice Tamara Galloway, ecotossicologa all’Università di Exeter.

Le città stanno appena cominciando a fare i conti con l’inquinamento da fibre di plastica e il ruolo che giocano in tutto questo le lavatrici di casa. Rallentare il processo di trattamento delle acque reflue consentirebbe di intercettare una maggior quantità di fibre di plastica, dice Kartik Chandran, ingegnere ambientale della Columbia University. Ma potrebbe anche accrescere i costi.

I grandi marchi dell’abbigliamento dicono che stanno lavorando per migliorare i loro tessuti sintetici in modo da ridurre l’inquinamento da fibre. E sta venendo fuori tutta una serie di filtri, di prodotti da inserire nel cestello della lavatrice durante il lavaggio e di altri prodotti per ridurre le emissioni di fibre durante i lavaggi. Test indipendenti mostreranno quale di questi metodi è più efficace.

La Mason, che è stata la prima ricercatrice a scoprire la forte presenza di inquinamento da microplastica nella regione dei Grandi Laghi, dice di essere rimasta sconvolta dai risultati dei test sull’acqua potabile. «La gente mi chiedeva sempre: ‘Ma queste cose ci sono anche nell’acqua che beviamo?’. Io rispondevo sempre che non lo sapevo.

«Non pensavo che fossero davvero presenti anche nell’acqua che beviamo».

(Traduzione di Fabio Galimberti)

Cosa possiamo fare

Sette modi per evitare che le microplastiche diventino un problema sempre più serio.

loremNon utilizzate sacchetti di plastica
L’utilizzo medio di un sacchetto di plastica è di circa 12 minuti, al termine dei quali viene buttato via. In compenso, i sacchetti possono continuare a esistere fino a 500 anni nell’acqua degli oceani, dove le tartarughe e altri animali marini li scambiano per cibo. Quando andate a fare la spesa prendete l’abitudine di portarvi appresso borse riutilizzabili e cercate di fare altrettanto per sostituire i contenitori usa-e-getta in plastica di panini o merendine.
loremDite addio alla cannuccia
Ogni giorno nel mondo si utilizzano per una ventina di minuti (ma spesso molto meno) circa un miliardo di cannucce di plastica che poi finiscono nella spazzatura. Uno degli oggetti più usa-e-getta al mondo continua la sua esistenza per secoli nelle discariche e nell’ambiente. Tra gli inquinanti marini, infatti, predominano proprio le cannucce. La soluzione è semplice: dite addio alla cannuccia o procuratevene una di metallo da portarvi sempre dietro e utilizzare più volte.
loremLasciate per un po’ nel cassetto i vostri pile
In un unico lavaggio, una giacca di pile può perdere fino a 1900 fibre sintetiche, che finiscono per saturare aria, acqua e suolo. Lavate i vostri capi sintetici meno frequentemente e utilizzate un ciclo delicato, così da ridurre l’effetto abrasivo che provoca la rottura delle fibre. Procuratevi filtri (per esempio i Wexco) in grado di catturare fibre fino a 160 micrometri di grandezza.
loremIgiene orale
Dopo aver utilizzato il vostro spazzolino da denti, in genere lo buttate nell’apposito contenitore affinché sia riciclato, ma in verità non ci sono garanzie che così avvenga. Cercate di utilizzare spazzolini da denti in materiali alternativi come bambù, legno e… banconote di dollari riciclate sul serio.
loremMettete la vernice nel barattolo
In pratica, le vernici acriliche e in lattice sono plastica allo stato liquido con aggiunta di pigmenti. Quando lavate il pennello sotto l’acqua corrente, miliardi di micro e nano particelle di plastica finiscono nello scarico. Gli esperti suggeriscono di aggiungere sapone neutro a un po’ di acqua calda in un barattolo in vetro e di pulirvi il pennello. Fatto ciò, disfatevi dell’acqua di risciacquo del barattolo in discarica, come previsto per le vernici dalle normative locali. In alternativa, potete ricorrere alla vernice al latte: aggiungete succo di limone al latte e scremate il caglio, quindi aggiungete a ciò che resta pigmenti naturali: è in questo modo che un tempo si verniciavano vecchi fienili e mobili. I vostri amici hipster si roderanno dall’invidia.
loremPortate sempre con voi la vostra bottiglia personale
Un’unica bottiglia di plastica da un litro può frantumarsi in pezzetti microscopici in grado di ricoprire fino a un chilometro e seicento metri di costa. Comprate una bottiglia di vetro, invece che di plastica, o portatevi sempre appresso la vostra bottiglia personale riutilizzabile.
loremFatevi dare un passaggio
Ogni anno nel mondo si producono circa due miliardi di pneumatici. La polvere di pneumatico finisce nei corsi d’acqua e da lì negli oceani, ed è una delle principali cause di inquinamento di questi ultimi. Fatevi dare passaggi, utilizzate i trasporti pubblici e incoraggiate i vostri amici a fare altrettanto.

(Traduzione di Anna Bissanti)

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Nella Terra dei Fuochi sarda tra paura e calo delle vendite: “Non possiamo barattare la nostra salute con i posti di lavoro”

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Allarme pneumologi: 90mila morti per inquinamento

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Pesca eccessiva e distribuzione incontrollata. Fao: “Uso responsabile delle risorse ittiche”

L’ultimo rapporto sullo Stato della pesca e dell’acquacoltura dell’agenzia dell’Onu segnala la preoccupante crescita del commercio e del consumo, che mette a repentaglio la biosostenibilità

di GIAMPAOLO CADALANU

 

Il miracolo di moltiplicare i pani, alla Fao lo sanno bene, è tutt’altro che facile. Ma ora serve anche qualcuno che sappia moltiplicare i pesci, perché la generosità degli oceani sta per raggiungere il limite. Le abitudini alimentari stanno cambiando in tutto il pianeta, l’attenzione ai prodotti della pesca aumenta, e secondo l’ultimo rapporto dell’agenzia Onu sullo Stato della pesca e dell’acquacoltura ormai il consumo pro capite è arrivato a 20 chilogrammi l’anno, pari a circa il 6,7 per cento delle proteine totali. Il consumo è a livelli doppi rispetto agli anni Settanta, e cresce a ritmi molto superiori alla crescita della popolazione. Come dire che la passione per il pesce aumenta proprio mentre il patrimonio sottomarino dà evidenti segni di esaurimento. Ma più che un allarme, quello della Fao è un invito all’utilizzo responsabile, tanto più che l’allevamento è ormai in grado di fornire quasi la metà del pesce che finisce in tavola.

Secondo il rapporto dell’agenzia, “quasi un terzo degli stock di pesce sono prelevati a ritmi biologicamente insostenibili”, cioè a livelli triplicati rispetto a quarant’anni fa, con una velocità che non permette il ricambio. La situazione è ancora più preoccupante per il Mediterraneo e per il mar Nero: nelle acque di quest’ultimo il pesce pescato a livelli insostenibili raggiunge il 59 per cento. A rischio sono i pesci sui piatti di tutti i giorni: orate, merluzzi, muggini, sogliole. “Ormai i margini per aumentare le catture sono molto ridotti”, dice il biologo Alessandro Lovatelli, tecnico della Fao, “ci sono invece spazi di miglioramento nel sistema di distribuzione, è un’area in cui si può fare molto per evitare gli sprechi”.

Nel 2014 il prelievo ha raggiunto 93,4 milioni di tonnellate: in testa il merluzzo d’Alaska, definito “la più grande riserva di pesce commestibile nel mondo”, ha superato l’acciuga del Cile, ma è andata bena anche la pesca di tonno, gamberi, crostacei e cefalopodi. A inseguire il tesoro sommerso sono 4,6 milioni di barche da pesca, il 90 per cento attive nelle acque di Asia e Africa. E in gran parte si parla di attività di piccola scala: secondo il rapporto Fao solo 64 mila sono lunghe 24 metri o più.

L’esportazione del pesce “vale”, stando ai dati del 2014, attorno ai 148 miliardi di dollari: ma è fondamentale soprattutto per i paesi in via di sviluppo, che ne ottengono ricavi superiori all’esportazione di carne, tabacco, zucchero e riso messi insieme. Ma più che la pesca, la carta vincente è l’acquacoltura, attualmente in grado di produrre 73,8 milioni di tonnellate di pesce, crostacei e molluschi per l’alimentazione umana. E metà di questa produzione viene da specie non alimentate dall’uomo, e dunque non comporta il sacrificio di altre proteine sottraendole all’uso umano. “E bisogna smentire il mito della minore qualità del pesce allevato: in genere il prodotto dell’acquacoltura è più controllato, perché si può scegliere l’alimentazione e monitorare la fase di produzione primaria. Prendiamo il salmone: nonostante sia per la maggior parte di allevamento, è di fatto un pesce di qualità. Ha un prezzo elevato perché l’offerta non basta a soddisfare la domanda”, spiega Audun Lem, vice direttore della Divisione Politiche Ittiche e Acquacoltura della Fao: “Quello che conta è che il lavoro sia fatto bene e che si rispettino le buone pratiche. L’acquacoltura è un lavoro che non si può improvvisare, l’allevatore che sbaglia va fuori mercato”. Meno ottimista Serena Maso, della campagna Mare di Greenpeace, secondo cui “al momento l’acquacoltura comporta ancora problemi di inquinamento che ci fanno considerare più sostenibile il consumo di pesce pescato”.

A guidare il boom nell’allevamento subacqueo non sono in genere i Paesi sviluppati, a parte la Norvegia, che è il secondo esportatore mondiale: in testa c’è la Cina, ma anche Vietnam, Cile, Indonesia e tante nazioni africane stanno facendo la loro parte, tanto che la Nigeria ha moltiplicato per venti la sua produzione negli ultimi vent’anni.
Gli esperti però sanno che il contributo dell’acquacoltura non compensa i danni della pesca illegale, con prelievi sproporzionati, spesso non autorizzati dai paesi costieri oppure concordati da regimi autoritari, a danno dei piccoli pescatori. Adesso però qualche motivo di ottimismo c’è: nei giorni scorsi è entrato in vigore l’Accordo internazionale sulle misure per gli stati di approdo, che impone controlli ai pescherecci nei paesi dove vanno a scaricare il pescato. “E’ una novità positiva, ma solo un primo passo”, chiarisce Serena Maso, “i controlli riguardano le barche straniere, ma servirebbero anche per le flotte nazionali”. E resta il problema dello sfruttamento eccessivo, delle monster-boat, navi immense che svuotano i mari, stivando anche 3700 metri cubi di pesce e di fatto rendendo impossibile la concorrenza impossibile dei pescatori artigianali. “Ma è la pesca tradizionale, con mezzi non industriali, ad avere effetti economici positivi sulle comunità costiere. E invece ormai i pescatori non trovano mercato per i loro pesci, troppo cari. E finisce che nelle mense scolastiche anziché prodotti del Mediterraneo per risparmiare si serve il pangasio del Mekong, pescato in uno dei fiumi più inquinati del mondo”.

Fonte: Repubblica.it

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La febbre del Pianeta è salita ancora nel 2015

Il rapporto “Lo Stato del Clima nel 2015” redatto da oltre 450 scienziati di 62 Paesi evidenzia le allarmanti prospettive che si presenteranno a livello globale a seguito degli impressionanti record raggiunti da una serie di indicatori climatici.

 

Il 2015 è stato inequivocabilmente l’anno più caldo mai registrato per la Terra con 1,0 °C in più rispetto all’era preindustriale, le concentrazioni dei 3 principali gas a effetto serra (diossido di carbonio, metano e protossido di azoto) hanno raggiunto livelli record, l’innalzamento delle acque dei mari ha toccato il suo livello più alto con un incremento di 3,3 mm e la quantità di precipitazioni è aumentata di 70 mm rispetto alla media degli anni ’90, ma al contempo il Pianeta ha anche sofferto di severe siccità su una superficie complessiva doppia rispetto al 2014: dall’8% al 14%.

Questi ed altri impressionanti risultati dei 50 diversi indicatori climatici dell’anno trascorso che continuano a riflettere le tendenze coerenti con la febbre della Terra che aumenta, sono contenuti nel Rapporto “State of the Climate in 2015” redatto da oltre 450 scienziati di 62 Paesi, coordinati dalla NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) e publicato il 2 agosto 2016 nel Supplemento speciale del Bollettino della Società Meteorologica Americana.
Credo che il tempo di chiamare il medico sia stato nei decenni trascorsi – ha dichiarato Deke Arndt, a capo della Divisione il monitoraggio del clima della NOAA  e tra i principali autori del Rapporto – Ora siamo di fronte ha una molteplicità di sintomi“.

Ecco in sintesi i 10 risultati più eclatanti contenuti nel Rapporto 2015.
1. La temperatura globale della superficie terrestre è stata la più alta mai registrata. Nel 2015 il record stabilito appena l’anno prima è stato battuto con un +0,1 °C, superando per la prima volta di 1 °C i livelli di temperatura media globale dei livelli preindustriali.
2. Le temperature superficiali dei mari sono risultate egualmente le più alte mai registrate. La temperatura media marina è stata di 0,33-0,39 °C sopra la media, superando la media precedente di 0,10-0,12 °C. La più alta temperatura rispetto alla media si è verificata nella parte nord-est del Pacifico e nel Pacifico equatoriale orientale, mentre il nord Atlantico e il sud-est della Groenlandia sono rimasti più freddi rispetto alla media. Queste acque molto più calde hanno notevolmente aumentato l’attività dei cicloni tropicali.
3. La quantità di calore immagazzinata dagli oceani è stata la più alta mai registrata. A livello globale il calore accumulato negli strati superiori degli oceani è stato il più alto mai registrato. Gli oceani assorbono circa il 90% del calore in eccesso della Terra.
4. Il livello globale dei mari è il maggiore mai registrato. Si è raggiunto nel 2015 il nuovo record di 70 mm rispetto alla media del 1993, l’anno che segna l’inizio del record misurato con i satelliti. Nel corso degli ultimi due decenni, il livello del mare è aumentato ad un tasso medio di 3,3 mm all’anno, con i più alti tassi di crescita negli Oceani Pacifico e Indiano occidentale.
5. Il fenomeno di El Niño è stato di eccezionale portata. Oltre ad elevare le temperature globali, l’El Niño ha sollevato il livello del mare, ha intensificato l’attività del ciclone tropicale del Pacifico e provocato siccità nelle parti dei tropici con crescità di incendi e rilascio di anidride carbonica.
6. La concentrazione di gas serra ha raggiunto il livello più alto mai registrato. Il biossido di carbonio (CO2), il metano e il protossido di azoto, sono saliti a valori record durante il 2015. La concentrazione media annua di CO2, secondo l’osservatorio di Mauna Loa (Hawaii), è risultata pari a 400,8 parti per milione (ppm), superando per la prima volta il limite simbolico delle 400 ppm, con 3.1 ppm oltre il 2014, il più grande incremento annuo osservato nel corsi di 58 anni.
7. I cicloni tropicali sono stati ben al di sopra della media generale. Ci sono stati 101 cicloni tropicali in tutti i bacini oceanici nel 2015, ben al di sopra della media 1981-2010 di 82 tempeste. Il Pacifico centrale ha visto succedersi 26 cicloni. Anche la parte occidentale del Nord del Pacifico, e i bacini settentrionali e meridionali dell’Oceano Indiano hanno registrato un’intensa attività. Viceversa, l’attività dei cicloni nel nord Atlantico è stata più debole del 68% del valore medio del periodo 1981-2010, con l’uragano Joaquin che ha coperto quasi la metà di tale valore.
8. Il ghiaccio marino artico ha avuto la sua minima estensione. Nel febbraio 2015, la massima estensione del ghiaccio marino nell’Artico è stato del 7% inferiore della media 1981-2010, il livello più piccolo mai registrato. Le temperature della superficie terrestre artica è stata superiore di 2,8 °C a quella dei primi anni del 20° secolo.
9. I ghiacciai hanno continuato la loro contrazione. L’anno scorso ha segnato il 36° anno consecutivo del contrarsi dei ghiacciai alpini a livello globale. I numeri sono del tutto in linea con quelli rilasciati nello Studio del Politecnico federale di ZurigoContrasting climate change impact on river flows from high-altitude catchments in the Himalayan and Andes Mountains” e pubblicati lo stesso giorno sulla PNAS, secondo cui sull’Himalaya e sulle Ande gli effetti del riscaldamento globale saranno addirittura opposti: il primo nei prossimi decenni sarà soggetto a inondazioni sempre più frequenti, mentre il secondo vedrà acuirsi la siccità.
10. I fenomeni estremi hanno raggiunto la loro maggiore intensità.

schema cambiamenti climatici

Fonte: regioneambiente.it