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La democrazia e i suoi simulacri

di Maurizio Pallante

Il valore fondante della democrazia consiste nel fatto che, se si garantisce un pari potere decisionale a tutte le opinioni politiche che riconoscano pari dignità a tutte le opinioni politiche, le decisioni relative a ogni aspetto della vita sociale vengono prese a maggioranza dopo aver valutato i punti di vista di tutti i gruppi d’interesse, la più ampia gamma di pareri professionali, tecnici e scientifici, l’espressione delle differenti sensibilità culturali. Le scelte politiche fatte in questo modo hanno le maggiori possibilità di rispondere alle esigenze della maggior parte della popolazione senza penalizzare eccessivamente gli strati sociali che non le condividono. Questo processo non garantisce che abbiano sempre e comunque queste caratteristiche positive, ma è il più favorevole affinché ciò avvenga.

Se, invece, nelle dinamiche politiche la ricerca della maggioranza prevale sul confronto delle idee, la democrazia viene rispettata formalmente, ma si trasforma nell’affermazione del più forte numericamente. Di conseguenza i contributi che possono essere dati dalle minoranze alla definizione delle decisioni da prendere vengono mortificati, le decisioni che rispondono agli interessi e al sistema dei valori degli strati sociali rappresentati dalla maggioranza possono penalizzare pesantemente gli strati sociali rappresentati dalle minoranze, si creano lacerazioni nel tessuto sociale. La democrazia si trasforma nel suo simulacro.

In Italia la concezione alta della democrazia si è realizzata esclusivamente nel breve periodo dell’Assemblea costituente (25 giugno 1946 – 31 gennaio 1948) e la carta costituzionale che ne è scaturita ha definito le condizioni per realizzare al meglio le sue potenzialità. In questo contesto valoriale, per garantire l’apporto di tutti gli orientamenti politici e culturali ai processi decisionali fu adottata una legge elettorale proporzionale pura. Questa concezione della democrazia durò pochissimo. Fu abbandonata già nelle elezioni del 1948, in cui lo scontro per conquistare la maggioranza si basò sull’esasperazione delle differenze ideologiche e non sul confronto dei contenuti programmatici. Fu trasformata, anche giuridicamente, nella versione in cui la ricerca della maggioranza numerica prevale sul confronto delle idee con la riforma della legge elettorale del 1953 – passata alla storia con la definizione di legge truffa coniata dai suoi avversari – che assegnava il 65 per cento dei seggi della Camera dei deputati al partito o alla coalizione di partiti che avesse ottenuto più della metà dei voti validi. La coalizione di maggioranza, che sulla base della sua preponderanza numerica aveva imposto l’adozione della legge, non superò il 50 per cento dei voti, il premio non scattò e la legge fu abolita. Non per questo fu abbandonata nella prassi la concezione della democrazia come affermazione del più forte numericamente, che cominciò ad attenuarsi soltanto all’inizio degli anni sessanta.

La ripresa del confronto sui contenuti tra orientamenti politici e culturali diversi consentì, tra il 1962 e il 1978, di approvare una serie di riforme molto importanti: l’estensione dell’obbligo scolastico ai 15 anni di età, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, il diritto di famiglia, le Regioni, il Sistema Sanitario Nazionale, lo Statuto dei lavoratori. Questa fase si chiuse in maniera drammatica nel 1978 con il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, che segnò la ripresa della concezione della democrazia come gestione del potere da parte del più forte numericamente.

Lo stesso processo di trasformazione della democrazia avvenuto a livello istituzionale si è riprodotto inevitabilmente nelle dinamiche interne ai partiti, soprattutto quelli al governo, dove alle correnti veniva riconosciuto il diritto di indicare un numero di ministri e sottosegretari in proporzione alla loro consistenza numerica. Poiché l’esercizio del potere era indispensabile per sostenere gli interessi delle categorie sociali da cui si ricevevano i voti necessari a ottenere la maggioranza, la democrazia si è ridotta sempre di più a essere un esercizio del potere conquistato in base alla prevalenza numerica e finalizzato a mantenere la prevalenza numerica per continuare a esercitare il potere.

Questa negazione sostanziale della democrazia, ottenuta con l’adozione delle sue procedure formali, è stata sostenuta da una sistematica riduzione delle sue prerogative in nome della governabilità. Se la democrazia viene di fatto privata della sua funzione di sistema decisionale fondato sul confronto e la mediazione tra differenti orientamenti politici, la conquista e il mantenimento della maggioranza numerica sono facilitati dalla sostituzione del sistema elettorale proporzionale col sistema maggioritario, come è avvenuto in Italia con la riforma elettorale del 1993. Il maggioritario riduce anche formalmente la democrazia a competizione tra due schieramenti contrapposti per conquistare la maggioranza numerica. Finalità che è stata confermata dalla progressiva riduzione delle differenze di contenuti programmatici tra i partiti.

Su cosa si confrontano due schieramenti che sostengono due modalità parzialmente differenti per raggiungere lo stesso scopo di far crescere l’economia, se non sulla conquista della maggioranza per esercitare il potere?

Gli orientamenti politici che non accettano di rientrare in uno dei due, perché si propongono di tutelare gli interessi di categorie sociali non rappresentate adeguatamente da essi, vengono esclusi dalla possibilità di contribuire alla formulazione delle decisioni da prendere, come richiederebbe la concezione alta della democrazia. Il risultato inevitabile di queste esclusioni è l’aumento del numero di coloro che non si sentono rappresentati da nessuno dei due schieramenti e di conseguenza non vanno a votare, o annullano la scheda, o la lasciano in bianco, o votano, turandosi il naso, non a favore di uno di essi, ma contro quello che ritengono più lontano dalle loro idee.

La trasformazione della democrazia nel suo simulacro ha fatto scendere la percentuale dei votanti a valori in cui la maggioranza dei voti rappresenta una piccola minoranza degli elettori.

Attualmente in Italia va a votare tra il 50 e il 70 per cento degli aventi diritto, ma nelle elezioni regionali del 2014 in Emilia Romagna non è stato raggiunto il 38 per cento. Con i premi di maggioranza previsti dalle leggi elettorali basta raggiungere il 40 per cento dei voti – che, con una percentuale di votanti del 50 per cento rappresentano il 20 per cento del corpo elettorale – per ottenere il 60 per cento dei seggi.
Si può considerare democratico un sistema che assegna una maggioranza assoluta qualificata a una coalizione di partiti votata da un quinto degli elettori?

La concezione alta della democrazia implica l’ascolto rispettoso delle idee espresse da chi la pensa diversamente, la capacità di argomentare rigorosamente e in maniera persuasiva le proprie opinioni, la disponibilità a modificarle. Seleziona i migliori.

La concezione competitiva della democrazia implica il rifiuto di prendere in considerazione le opinioni di chi la pensa diversamente, annulla la necessità di argomentare rigorosamente e in maniera persuasiva le proprie opinioni perché sono i numeri a farle prevalere, favorisce l’affermazione delle persone più aggressive, sia nella maggioranza, sia nella minoranza. Seleziona i peggiori.

Uscire da questa spirale di negatività crescente non è facile, perché la concezione alta della democrazia è sparita dall’immaginario collettivo, mentre l’asprezza della contrapposizione tra partiti, che non di rado nelle sedi istituzionali sfiora i limiti della violenza fisica, ha diffuso l’idea che quello sia l’unico modo di fare politica. Queste dinamiche conflittuali vengono amplificate dai mezzi di comunicazione di massa in conseguenza della loro spudorata trasformazione da strumenti di informazione a strumenti di propaganda dell’uno o dell’altro degli schieramenti politici in competizione. In questo contesto la concezione alta della democrazia viene considerata una forma d’ingenuità da anime belle che non conoscono la dura realtà della vita e sottovalutano la cattiveria dell’animo umano.

Una proposta formulata recentemente per ridare vitalità alla democrazia nella sua accezione etimologica di governo del popolo, è l’uso dell’informatica per consentire agli iscritti a un partito di pronunciarsi sulle decisioni da prendere su temi di particolare rilevanza politica, o di partecipare alla formazione delle liste elettorali indicando un nome da un elenco di autocandidature precedentemente filtrate da un’apposita commissione. In realtà questa proposta manifesta quanto profondamente sia penetrata nell’immaginario collettivo la convinzione che la democrazia si identifichi con la ricerca della prevalenza numerica, e non con la formazione di una maggioranza in conseguenza di un confronto di idee in cui ognuno ha la possibilità di maturare un’opinione consapevole dopo una discussione approfondita, sia con chi la pensa allo stesso modo, sia con chi ha opinioni diverse.

Se gli iscritti a un partito, ognuno chiuso nella sua stanza davanti al suo computer, schiacciano un tasto per indicare la loro preferenza tra due possibilità alternative di scelta, si sta semplicemente effettuando una conta per verificare quale delle due opzioni abbia il maggior numero di consensi. Se gli iscritti a un partito, ognuno chiuso nella sua stanza davanti al suo computer, schiacciando un tasto indicano un nome da un elenco di autocandidature supportate soltanto da un curriculum e da una dichiarazione d’intenti, si sta semplicemente effettuando la conta di chi ha il maggior numero di sostenitori, amici e parenti. E si offre la possibilità di presentare la propria autocandidatura anche a chi non ha niente a che fare col partito, ma si inserisce in questo meccanismo soltanto perché intravede la possibilità di essere eletto.

Invece di rafforzare la democrazia, questo uso dell’informatica ne costituisce un altro simulacro. Una procedura veramente democratica si realizzerebbe se gli attivisti di un territorio indicassero, dopo un’ampia discussione aperta alla popolazione, il nome di uno di loro che conoscono bene perché si è distinto per il suo impegno sui problemi sociali, economici e ambientali locali.

Nelle forme semplificate di consultazione in cui i consultati possono soltanto dire sì o no a una scelta effettuata da chi gestisce il potere, si annida il germe del plebiscito. Questa procedura è stata usata, al posto delle elezioni, da regimi antidemocratici per sottoporre alla ratifica degli elettori una lista bloccata di candidati alle assemblee elettive predisposta dal partito al governo. Se si utilizza per chiedere agli iscritti di un partito se condividono o meno una decisione presa dai suoi organi dirigenti, o anche soltanto dal suo capo politico, diventa uno strumento per tacitare la minoranza interna che vi si oppone, far passare per antidemocratico chi non si adegua e, se lo statuto lo prevede, espellere i dissidenti. Dietro l’apparenza di una decisione presa democraticamente a maggioranza, è la negazione della democrazia.

La valorizzazione della concezione alta della democrazia è il modo in cui si manifesta nell’agire politico il paradigma culturale che induce a perseguire la sostenibilità ambientale, un’equità estesa alle generazioni future e ai viventi non umani, la tutela dei fattori abiotici, la solidarietà al posto dell’indifferenza e della sopraffazione. Un soggetto politico che faccia di questi valori i suoi pilastri fondanti non può fare a meno di proporsi anche questo obbiettivo, a partire dall’impostazione delle sue dinamiche interne.

 

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Seminario a Prato dal 3 al 5 Maggio

Pubblichiamo il programma completo del seminario di formazione che si terrà a Prato dal 3 al 5 maggio 2019

Luogo: Prato, Villa del Palco, via del Palco 228
10/15 minuti dall’uscita dell’autostrada di Prato est , circa 5 minuti in macchina dalla stazione Porta al Serraglio di Prato e 8/10 minuti da quella di Prato Centrale. In TRENO: scendendo a Prato Centrale autobus Cap. linea 11 direzione Castellina- Piazza Ciardi fermata san Bernardino (5/10 minuti di bus, ferma a 400 m dalla Villa, c’è da fare circa 200 m leggermente in salita fino al primo cancellino di legno). In taxi sono circa 8/10 minuti.

Programma

Venerdì 3 maggio, ore 20: cena e serata conviviale

Sabato mattina 4 maggio, ore 9.

Il cambiamento climatico:
Cause. Conseguenze. A che punto siamo: Luca Fiorani, ricercatore Enea e docente di fisica del clima Università Roma Tre
Come contrastarne le cause, Come attenuarne le conseguenze:
Jacopo Rothenaisler, coordinatore del gas della Decrescita felice di Muggia

La conversione economica dell’ecologia:
L’efficienza energetica e le fonti rinnovabili: aspetti tecnici ed economici:
Sara Capuzzo, vice-presidente della società cooperativa ènostra, che vende energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili

Sabato pomeriggio, segue: la conversione economica dell’ecologia
La gestione degli oggetti dismessi:
aspetti tecnici ed economici, il vantaggio sociale della gestione pubblica: Francesco Girardi, ingegnere ambientale, amministratore dell’ASA di Tivoli
La Bioarchitettura:
aspetti tecnici ed economici: Giovanni Galanti, architetto, Fondazione italiana di Bioarchitettura
Il grande inganno dello sviluppo sostenibile:
Nino Pascale, agronomo, già presidente nazionale di Slow Food; Maurizio Pallante

Domenica mattina, ore 9
Oltre la destra e la sinistra: Maurizio Pallante
Il superamento dell’antropocentrismo: Max Strata, ecologo e scrittore

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Sta cambiando tutto in fretta, troppo in fretta

di Jacopo Rothenaisler

La guerra non dichiarata in corso è iniziata esattamente 250 anni fa. Era il 1769. La scoperta della macchina a vapore diede inizio alla prima rivoluzione industriale e ad una nuova epoca geologica, l’Antropocene, termine coniato dal biologo Eugene Stoermer proprio ad indicare l’impatto che l’Homo sapiens ha sull’equilibrio del pianeta, il ruolo dell’essere umano e della sua attività nel determinare le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche. Iniziò la corsa a bruciare i combustibili fossili, il primo fu il carbone, che ci ha portato ai giorni nostri.

Attualmente, ogni secondo, l’umanità consuma 1.000 barili di petrolio, 93.000 mc di gas naturale, 221 tonnellate di carbone, ed un Avatar di Second life – quindi una figura digitale creata in un mondo virtuale – consuma più energia di una persona reale di un paese in via di sviluppo. Siamo consapevoli che la combustione di combustibili fossili, assieme alla deforestazione e l’allevamento di bestiame, aggiungono enormi quantità di gas a quelle naturalmente presenti nell’atmosfera, e che alcuni gas presenti nell’atmosfera terrestre agiscono un po’ come il vetro di una serra, catturano il calore del sole impedendogli di ritornare nello spazio.

L’attuale sistema economico però, mentre da una parte favorisce l’accumulo di risorse nelle mani di una élite super privilegiata ai danni dei più poveri, dall’altra, attraverso l’impiego di enormi risorse finanziarie, rafforza la posizione dei soggetti che negano l’origine antropica del cambiamento climatico.

Mentre è in corso, come afferma Noam Chomsky, un vero e proprio smantellamento della ragione, il cambiamento climatico in atto procede in fretta, troppo in fretta. E’ necessario cambiare direzione, e farlo il più velocemente possibile. Il ritmo è la questione cruciale.

Il ritmo è ora la parola chiave per il clima. Non dove stiamo andando, ma quanto velocemente stiamo andando lì. Il pericolo che maggiormente ci minaccia a causa dell’aumento della temperatura del Pianeta è l’innalzamento del livello del mare. Se aspettiamo fino a quando questa prospettiva si rivelerà in modo chiaro potrebbe essere troppo tardi per evitare l’innalzamento del livello del mare di diversi metri e la perdita di tutte le città costiere, la maggior parte delle grandi città del mondo e tutta la loro storia.

Questi cambiamenti sono associati con processi di feedback (retroazioni) amplificati, la cui dinamica di incremento è stata largamente sottovalutata. Un sistema in cui i principali componenti sono gli oceani e il ghiaccio è un sistema che ha una grande inerzia. Fuori equilibrio però è un sistema in cui è difficile ripristinare rapidamente l’equilibrio.

Quando inizia a cambiare, tenuto conto dell’esistenza di processi di amplificazione, innesca una situazione di grande preoccupazione. Non siamo certi di aver superato un punto di non ritorno, ma è certo che la sostanziale inazione della gran parte dei Paesi hanno ridotto il numero di opzioni a nostra disposizione e soprattutto reso quelle necessarie così radicali da non poter essere messe in pratica da governi democratici/elettivi.

La responsabilità connessa ad una iniziativa politica che nasce in una situazione di così grande pericolo per l’intera umanità è innanzitutto quella di dire le cose come stanno e proporre le drastiche e impopolari misure necessarie a scongiurare le conseguenze. Possiamo tranquillamente permetterci di essere trattati con sufficienza, ironia o disprezzo. Non solo siamo abituati, siamo soprattutto consapevoli che i fomentatori e gli autori di tali sentimenti nei nostri confronti stanno in realtà trattando così non noi ma i loro stessi figli e nipoti negando a loro il futuro.

 

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