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Tutta la plastica che beviamo

Numerose ricerche mostrano la presenza di fibre di plastica negli oceani, nelle acque dolci, nel suolo e nell’aria. Questo studio è il primo a provare l’esistenza di una contaminazione da plastica nell’acqua corrente di tutto il mondo

Di Dan Morrison
e Chris Tyree

In collaborazione con ORB

Dai rubinetti di casa di tutto il mondo, da New York a Nuova Delhi, sgorgano fibre di plastica microscopiche, secondo una ricerca originale di Orb Media, un sito di informazione non profit di Washington.

Lavorando insieme ai ricercatori dell’Università statale di New York e dell’Università del Minnesota, la Orb Media ha testato 159 campioni di acqua potabile di città grandi e piccole nei cinque continenti. L’ottantatré per cento di questi campioni, compresa l’acqua che esce dai rubinetti del Congresso degli Stati Uniti e della sede dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente, a Washington, e quella del ristorante Trump Grill nella Trump Tower, a New York, conteneva microscopiche fibre di plastica. E se ci sono nell’acqua di rubinetto probabilmente ci sono anche nei cibi preparati con l’acqua1, come pane, pasta, zuppe e latte artificiale, dicono i ricercatori.

«È una notizia che dovrebbe scuoterci», ha scritto Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace 2006. «Sapevamo che questa plastica tornava da noi attraverso la catena alimentare. Ora scopriamo che torna da noi attraverso l’acqua potabile. Abbiamo una via d’uscita?». Yunus, il fondatore della banca di microcredito Grameen Bank, progetta di lanciare un’iniziativa contro lo spreco di plastica nei prossimi mesi.

Sono sempre più numerose le ricerche che dimostrano la presenza di microscopiche fibre di plastica negli oceani, nelle acque dolci2, nel suolo3 e nell’aria4, in tutto il mondo. Questo studio è il primo a provare l’esistenza di una contaminazione da plastica nell’acqua corrente di tutto il mondo.

Gli scienziati non sanno in che modo le fibre di plastica arrivino nell’acqua di rubinetto, o quali possano essere le implicazioni per la salute. Qualcuno sospetta che possano venire dai vestiti sintetici, come gli indumenti sportivi, o dai tessuti usati per tappeti e tappezzeria. Il timore è che queste fibre possano veicolare sostanze chimiche tossiche, come una sorta di navetta che trasporta sostanze pericolose dall’acqua dolce al corpo umano.

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Negli studi su animali, «era diventato chiaro molto presto che la plastica avrebbe rilasciato queste sostanze chimiche, e che le condizioni dell’apparato digerente avrebbero facilitato un rilascio piuttosto rapido», dice Richard Thompson, direttore associato della ricerca presso l’università di Plymouth, nel Regno Unito.

«Dalle osservazioni sulla fauna selvatica e l’impatto che sta avendo questa cosa abbiamo dati a sufficienza» per essere preoccupati, dice Sherri Mason, una delle pioniere della ricerca sulla microplastica, che ha supervisionato lo studio della Orb Media. «Se sta avendo un impatto sulla fauna selvatica, come possiamo pensare che non avrà un impatto su di noi?».

La contaminazione sfida le barriere geografiche e di reddito: il numero di fibre trovate nel campione di acqua di rubinetto prelevato nei bagni del Trump Grill è uguale a quello dei campioni prelevati a Quito, la capitale dell’Ecuador. La Orb Media ha trovato fibre di plastica perfino nell’acqua in bottiglia, e nelle case in cui si usano filtri per l’osmosi inversa.

Le autorità americane non fissano un livello di sicurezza per le particelle di plastica nell’acqua potabile, ha detto una portavoce dell’Epa (l’Agenzia per la protezione dell’ambiente), e non le hanno nemmeno inserite nella lista delle possibili sostanze contaminanti rinvenibili nell’acqua di rubinetto. L’Unione Europea impone agli Stati membri di garantire che l’acqua potabile sia libera da sostanze contaminanti.

Dei 33 campioni d’acqua prelevati in varie città degli Stati Uniti, il 94 per cento è risultato positivo alla presenza di fibre di plastica, la stessa media dei campioni raccolti a Beirut, la capitale del Libano. Fra le altre città prese in esame, figurano Nuova Delhi in India (82 per cento), Kampala in Uganda (81 per cento), Giacarta in Indonesia (76 per cento), Quito in Ecuador (75 per cento) e varie città dell’Europa (72 per cento).

La Mason, che presiede il dipartimento di geologia e scienza ambientale dell’Università statale di New York (sede di Fredonia), ha progettato la ricerca. I test sono stati eseguiti dalla ricercatrice Mary Kosuth, della Scuola di salute pubblica dell’Università del Minnesota. La Kosuth pubblicherà i risultati dello studio nei prossimi mesi, in una rivista scientifica con revisione tra pari.

«Questa è la prima indagine a livello globale sull’inquinamento da plastica nell’acqua di rubinetto, e i risultati rappresentano un primo sguardo sulle conseguenze dell’uso e dello smaltimento della plastica, più che una valutazione complessiva della contaminazione da plastica nel mondo», ha scritto la Kosuth nel compendio della ricerca. «Questi risultati segnalano la necessità di ulteriori test nelle varie regioni e confronti fra una regione e l’altra».

I campioni sono stati raccolti da scienziati di professione, giornalisti e volontari addestrati, seguendo i protocolli stabiliti dalla Mason. «Questa ricerca si limita a scalfire la superficie, ma ha l’aria di essere una questione molto seria», dice Hussan Hawwa, amministratore delegato della società di consulenze ambientali Difaf, che si è occupata della raccolta dei campioni in Libano.

Il regno di plastica

Secondo gli esperti, è troppo presto per capire se la plastica abbia un’importanza comparabile a quella di sostanze contaminanti più note dell’acqua di rubinetto, di origine sia chimica che biologica. «La ricerca sulle conseguenze per la salute umana è appena agli inizi», dice Lincoln Fok, studioso dell’ambiente presso l’Education University di Hong Kong.

La ricerca della Orb «solleva più interrogativi di quelli che risolve», afferma Albert Appleton, ex commissario alle acque del Comune di New York. «C’è un bioaccumulo? Influisce sulla formazione delle cellule? È un vettore per la trasmissione di agenti patogeni nocivi? Se si scompone, che cosa produce?».

Il mondo sforna ogni anno 300 milioni di tonnellate di plastica. Oltre il 40 per cento di questa massa viene usato una volta soltanto, a volte per meno di un minuto, e poi buttato via. Ma la plastica rimane nell’ambiente per secoli. Secondo un recente studio, dagli anni 50 a oggi sono stati prodotti in tutto il mondo oltre 8,3 miliardi di tonnellate di plastica.

Secondo i ricercatori, migliaia di miliardi di pezzettini di questo materiale sono disseminati sulla superficie dell’oceano. Le ricerche hanno trovato fibre di plastica dentro i pesci venduti nei mercati, nel Sudest asiatico, nell’Africa orientale e in California.

Ma l’idea che l’acqua potabile sia contaminata dalla plastica suscita confusione e scetticismo. «I risultati correnti dei nostri testi non mostrano livelli elevati di plastica o dei componenti derivanti dalla sua scomposizione», mi ha scritto per posta elettronica una portavoce del Dipartimento acqua ed energia di Los Angeles. «Non sappiamo di nessun protocollo standard o metodologia di sperimentazione approvata per la misurazione diretta delle microplastiche». Eppure, due campioni su tre di acqua di rubinetto a Los Angeles contenevano microscopiche fibre di plastica.

«È una cosa brutta: si sentono così tante cose sul cancro», ha detto Mercedes Noroña, 61 anni, dopo essere stata informata che un campione di acqua prelevato dal suo rubinetto di casa, a Quito, conteneva fibre di plastica. «Forse esagero, ma ho paura delle cose che ci beviamo con l’acqua».

È in buona compagnia. Un recente sondaggio Gallup ha riscontrato che il 63 per cento degli americani è «fortemente preoccupato» per l’inquinamento dell’acqua potabile, la percentuale più alta dal 20015.

Fonti nascoste di microplastica

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«Non abbiamo mai trovato niente del genere», dice James Nsereko, un pescatore del lago Vittoria, in Uganda. Un campione di acqua corrente prelevato nel villaggio di Nsereko conteneva quattro fibre di plastica, molto meno di quelle riscontrate in alcuni campioni prelevati negli Stati Uniti: in un campione di mezzo litro di acqua di rubinetto prelevata in un bagno del centro visitatori di Capitol Hill, la sede del Congresso a Washington, sono state trovate 16 fibre, uno dei totali più alti dello studio; e la stessa quantità è stata trovata in un campione raccolto nella sede centrale dell’Epa. In un campione prelevato nella sede del Comune di New York, ce n’erano dieci.

La DC Water, l’ente che gestisce le risorse idriche della capitale statunitense, ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che l’acqua di rubinetto della capitale «soddisfa i criteri fissati dalla legge sulla sicurezza dell’acqua potabile, che includono test per accertare la presenza di prodotti del petrolio, un componente della plastica. Monitoriamo attentamente la comparsa di agenti contaminanti». La Trump Organization non ha risposto alle richieste di commenti che abbiamo inoltrato via telefono e via posta elettronica. Un portavoce del dipartimento delle acque di New York ha detto che l’acqua cittadina soddisfa largamente le linee guida federali.

C’è una fonte di inquinamento da fibre di plastica confermata, e probabilmente ce l’avete indosso. Gli indumenti sintetici emettono fino a 700.0006 fibre a lavaggio, secondo quanto scoperto dai ricercatori dell’Università di Plymouth. Gli impianti di depurazione delle acque reflue negli Stati Uniti ne intercettano oltre la metà7: il resto finisce nei corsi d’acqua, per un totale di 29.000 chilogrammi8 di microfibre di plastica al giorno, secondo uno studio. Secondo alcuni esperti, queste fibre vengono portate dai sistemi idrici negli insediamenti più a valle, ed entrano nelle case attraverso le condutture. «Siamo tutti a valle di qualcuno», sottolinea la Mason.

Un’altra fonte di inquinamento potrebbe essere l’aria. Uno studio del 2015 calcolava che a Parigi, ogni anno, si depositano sulla superficie fra le 3 e le 10 tonnellate9 di fibre sintetiche. «Siamo abbastanza convinti che i laghi [e altri corpi d’acqua] possano essere contaminati da deposizioni atmosferiche cumulative», dice Johnny Gasperi, professore dell’Università di Parigi-Est Créteil. «Quello che abbiamo osservato a Parigi dimostra tendenzialmente che nelle ricadute atmosferiche è presente un’enorme quantità di fibre».

Particelle di plastica nell’acqua potabile: (A) Frammento plastico, continente indiano – (B) Fibra plastica, USA

Questo potrebbe spiegare perché si trovano fibre di plastica anche in sorgenti idriche sperdute, in tutto il mondo. Ma la Orb ha trovato fibre di plastica anche in acque di rubinetto provenienti da falde sotterranee. Fibre di plastica microscopiche, grandi appena un decimo di millimetro, contaminano le acque di falda in posti come Giacarta e Beirut? Oppure le fibre di plastica arrivano nell’acqua attraverso le condutture e i sistemi di depurazione?

Rimaniamo con molte incognite. Quanto è grande il pericolo se, per esempio, le fibre di plastica assorbono perturbatori endocrini, che alterano i sistemi ormonali degli esseri umani e della fauna selvatica, prima di essere consumate attraverso l’acqua potabile? «Non abbiamo mai veramente preso in considerazione questo rischio prima», dice Tamara Galloway, ecotossicologa all’Università di Exeter.

Le città stanno appena cominciando a fare i conti con l’inquinamento da fibre di plastica e il ruolo che giocano in tutto questo le lavatrici di casa. Rallentare il processo di trattamento delle acque reflue consentirebbe di intercettare una maggior quantità di fibre di plastica, dice Kartik Chandran, ingegnere ambientale della Columbia University. Ma potrebbe anche accrescere i costi.

I grandi marchi dell’abbigliamento dicono che stanno lavorando per migliorare i loro tessuti sintetici in modo da ridurre l’inquinamento da fibre. E sta venendo fuori tutta una serie di filtri, di prodotti da inserire nel cestello della lavatrice durante il lavaggio e di altri prodotti per ridurre le emissioni di fibre durante i lavaggi. Test indipendenti mostreranno quale di questi metodi è più efficace.

La Mason, che è stata la prima ricercatrice a scoprire la forte presenza di inquinamento da microplastica nella regione dei Grandi Laghi, dice di essere rimasta sconvolta dai risultati dei test sull’acqua potabile. «La gente mi chiedeva sempre: ‘Ma queste cose ci sono anche nell’acqua che beviamo?’. Io rispondevo sempre che non lo sapevo.

«Non pensavo che fossero davvero presenti anche nell’acqua che beviamo».

(Traduzione di Fabio Galimberti)

Cosa possiamo fare

Sette modi per evitare che le microplastiche diventino un problema sempre più serio.

loremNon utilizzate sacchetti di plastica
L’utilizzo medio di un sacchetto di plastica è di circa 12 minuti, al termine dei quali viene buttato via. In compenso, i sacchetti possono continuare a esistere fino a 500 anni nell’acqua degli oceani, dove le tartarughe e altri animali marini li scambiano per cibo. Quando andate a fare la spesa prendete l’abitudine di portarvi appresso borse riutilizzabili e cercate di fare altrettanto per sostituire i contenitori usa-e-getta in plastica di panini o merendine.
loremDite addio alla cannuccia
Ogni giorno nel mondo si utilizzano per una ventina di minuti (ma spesso molto meno) circa un miliardo di cannucce di plastica che poi finiscono nella spazzatura. Uno degli oggetti più usa-e-getta al mondo continua la sua esistenza per secoli nelle discariche e nell’ambiente. Tra gli inquinanti marini, infatti, predominano proprio le cannucce. La soluzione è semplice: dite addio alla cannuccia o procuratevene una di metallo da portarvi sempre dietro e utilizzare più volte.
loremLasciate per un po’ nel cassetto i vostri pile
In un unico lavaggio, una giacca di pile può perdere fino a 1900 fibre sintetiche, che finiscono per saturare aria, acqua e suolo. Lavate i vostri capi sintetici meno frequentemente e utilizzate un ciclo delicato, così da ridurre l’effetto abrasivo che provoca la rottura delle fibre. Procuratevi filtri (per esempio i Wexco) in grado di catturare fibre fino a 160 micrometri di grandezza.
loremIgiene orale
Dopo aver utilizzato il vostro spazzolino da denti, in genere lo buttate nell’apposito contenitore affinché sia riciclato, ma in verità non ci sono garanzie che così avvenga. Cercate di utilizzare spazzolini da denti in materiali alternativi come bambù, legno e… banconote di dollari riciclate sul serio.
loremMettete la vernice nel barattolo
In pratica, le vernici acriliche e in lattice sono plastica allo stato liquido con aggiunta di pigmenti. Quando lavate il pennello sotto l’acqua corrente, miliardi di micro e nano particelle di plastica finiscono nello scarico. Gli esperti suggeriscono di aggiungere sapone neutro a un po’ di acqua calda in un barattolo in vetro e di pulirvi il pennello. Fatto ciò, disfatevi dell’acqua di risciacquo del barattolo in discarica, come previsto per le vernici dalle normative locali. In alternativa, potete ricorrere alla vernice al latte: aggiungete succo di limone al latte e scremate il caglio, quindi aggiungete a ciò che resta pigmenti naturali: è in questo modo che un tempo si verniciavano vecchi fienili e mobili. I vostri amici hipster si roderanno dall’invidia.
loremPortate sempre con voi la vostra bottiglia personale
Un’unica bottiglia di plastica da un litro può frantumarsi in pezzetti microscopici in grado di ricoprire fino a un chilometro e seicento metri di costa. Comprate una bottiglia di vetro, invece che di plastica, o portatevi sempre appresso la vostra bottiglia personale riutilizzabile.
loremFatevi dare un passaggio
Ogni anno nel mondo si producono circa due miliardi di pneumatici. La polvere di pneumatico finisce nei corsi d’acqua e da lì negli oceani, ed è una delle principali cause di inquinamento di questi ultimi. Fatevi dare passaggi, utilizzate i trasporti pubblici e incoraggiate i vostri amici a fare altrettanto.

(Traduzione di Anna Bissanti)

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La siccità del mediterraneo orientale

Pubblicata sul Journal of Geophysical Research, la ricerca “Spatiotemporal drought variability in the Mediterranean over the last 900 years”, condotta dalla NASA rileva che la recente siccità che ha avuto inizio nel 1998 nella regione levantina del Mediterraneo orientale, che comprende Cipro, Israele, Giordania, Libano, Palestina, Siria e Turchia, è con ogni probabilità la peggiore siccità degli ultimi nove secoli.

Gli scienziati hanno ricostruito la storia della siccità del Mediterraneo, come parte dei lavori in corso per migliorare i modelli computerizzati di simulazione del clima, attraverso lo studio degli anelli degli alberi per stabilire le variazioni intercorse delle precipitazioni: anelli sottili indicano anni di siccità; mentre quelli larghi mostrano l’abbondanza d’acqua.
Oltre a identificare gli anni più aridi, il team di scienziati ha scoperto i modelli nella distribuzione geografica della siccità che forniscono un’ “impronta digitale” per identificare le cause sottese. Nell’insieme, i dati mostrano l’intervallo di variazione naturale dei periodi di siccità nel Mediterraneo, che permetterà agli scienziati di distinguere quelli più intensi determinati dal riscaldamento globale indotto dall’uomo.

La rilevanza e l’importanza dei cambiamenti climatici di origine antropica ci impone di comprendere l’intera gamma di variabilità naturale del clima – ha dichiarato Ben Cook, l’autore principale della ricerca e climatologo del Goddard Institute della NASA per gli Studi spaziali e del Lamont Doherty Earth Observatory della Columbia University di New York – Se osserviamo i recenti avvenimenti iniziamo a rilevare le anomalie che si trovano al di fuori di questo intervallo di variabilità naturale, allora possiamo dire con una certa sicurezza a che cosa assomiglia questo particolare evento o questa serie di eventi e quanto è stato il contributo dell’uomo nel determinare i cambiamenti climatici”.

Cook e i suoi colleghi hanno utilizzato i dati sugli anelli degli alberi dell’ “Old World Drought Atlas” per capire meglio la frequenza e la gravità delle siccità verificatesi nel Mediterraneo nel passato. Negli anni compresi tra il 1100 e il 2012, i ricercatori hanno scoperto che le siccità record testimoniate dagli anelli degli alberi corrispondono a quelle descritte nei documenti storici dell’epoca.
Dei dati OWDA gli scienziati si  erano avvalsi anche per spiegare la caduta dell’Impero Khmer e l’abbandono da parte della popolazione della città di Angkor (Cambogia).

La gamma di variabilità di periodi estremamente aridi o piovosi è piuttosto ampia, ma la recente siccità che ha colpito tra il 1998-2012 la regione orientale del Mediterraneo, e tuttora persiste, è di circa il 50% maggiore degli ultimi 500 anni e del 10-20% degli ultimi 900 anni.

mappa mediterraneo

Gennaio 2012. Le tonalità di marrone mostrano le riserve di acqua nella regione del Mediterraneo rispetto allo stoccaggio idrico medio del periodo 2002-2015.
I dati sono desunti dai satelliti GRACE (Gravity Recovery And Climate Experiment), missione congiunta della NASA e l’Agenzia spaziale tedesca) (Fonte: NASA/Goddard Institute).
La copertura di dati su una vasta area ha permesso al team di scienziati non solo di osservare le variazioni nel tempo, ma anche i cambiamenti geografici in tutta la regione.
In altre parole, quando nel Mediterraneo orientale c’è siccità, questa si verifica anche nell’Occidente?
La risposta è sì, nella maggior parte dei casi – ha sottolineato Kevin Anchukaitis, co-autore e scienziato del clima presso l’Università dell’Arizona di Tucson – Questo vale sia per l’attuale società che per le civiltà del passato, ovvero se una regione sta soffrendo le conseguenze della siccità, queste condizioni sono suscettibili di persistere in tutto il bacino del Mediterraneo. Non è necessariamente possibile fare affidamento sulla ricerca di migliori condizioni climatiche in una regione piuttosto che in un’altra, così da avere la potenziale distruzione su larga scala dei sistemi alimentari, nonché potenziali conflitti per l’accaparramento delle risorse idriche”.

I ricercatori, inoltre, hanno osservato che quando la parte settentrionale del Mediterraneo (Grecia, Italia, coste di Francia e Spagna) tende ad avere scarsità di precipitazioni, la parte orientale del Nord Africa è piovosa, e viceversa. Queste relazioni est-ovest e nord-sud hanno aiutato il team a capire quali siano le condizioni oceaniche  ed atmosferiche che portano a periodi secchi o umidi.

I due principali modelli di circolazione che influenzano il verificarsi di periodi siccitosi nel Mediterraneo sono la North Atlantic Oscillation (gennaio-aprile) ovvero la differenza di pressione tra l’Anticiclone delle Azzorre e la Depressione d’Islanda, e l’East Atlantic Pattern (aprile-giugno) che segnala le anomalie delle temperature dell’Atlantico orientale. Questi flussi d’aria descrivono come i venti e il tempo tendano a comportarsi a seconda delle condizioni oceaniche. Hanno fasi periodiche che evitano a lungo il formarsi di tempeste nel Mediterraneo e provocano il formarsi di aria più calda, con la conseguenza che l’assenza di piogge e le elevate temperature fanno aumentare l’evaporazione dai terreni e provocano siccità.
Questo studio dimostra che l’andamento di questo recente periodo di siccità della regione orientale del Mediterraneo è del tutto anomalo rispetto agli altri livelli record che si sono registrati nei secoli scorsi, indicando che quest’area risente già gli effetti del riscaldamento del Pianeta indotto dall’uomo – ha commentato Yochanan Kushnir, climatologo presso il Lamont Doherty Earth Observatory, non direttamente coinvolto nella ricerca – La variabilità dei periodi di eccezionale siccità intervenuti negli ultimi 900 anni costituisce un importante contributo che verrà utilizzato per perfezionare i modelli computerizzati per proiettare il rischio di siccità nel XXI secolo”.

La situazione non sembra allarmare troppo i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo Centro-occidentale, che continuano a far finta di niente, come se la questione non li riguardasse, salvo poi voler distinguere chi scappa per le guerre dai rifugiati climatici e disconoscere come la questione mediorientale abbia avuto una escalation anche a seguito della grave siccità che ha colpito quella che, storicamente, è stata la regione della “Mezzaluna fertile”.

In copertina:
Donne al lavoro nei campi del nord-est della Siria colpita da grave siccità che viene considerata una delle concause della grave crisi socio-economica del Paese.