
Esistono ancora le categorie di destra e sinistra? O sono solo “uno specchietto delle allodole che qualcuno utilizza per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi reali e dalle soluzioni possibili”? È la domanda che si pone Maurizio Pallante nel suo libro “Destra e sinistra addio. Per una nuova declinazione dell’uguaglianza” (Edizioni Lindau, 232 p.). Il fondatore del Movimento per la decrescita felice prova a rispondere a diversi interrogativi sulle strade da battere (e su quelle che si stanno già percorrendo) per raggiungere la metà dell’uguaglianza sociale. Partendo da un punto: il fallimento delle ricette a cui si è fatto ricorso fino ad oggi. Ricette che sono state portate avanti da partiti tanto di destra quanto di sinistra. Due estremi che sono andati lentamente avvicinandosi e a volte sovrapponendosi. Ma non si tratta di un accostamento reciproco: “I partiti di destra non si sono mai mossi dalle loro posizioni. Anzi, le hanno consolidate con una fermezza tanto più intransigente quanto più i partiti di sinistra si sono spostati, passo dopo passo, a destra”, scrive Pallante.
L’idea che la dicotomia destra-sinistra sia oramai superata è largamente condivisa. Lo ha ribadito, per esempio, Arianna Huffington nella sua intervista a Lucia Annunziata su Repubblica, affermando che “la divisione fra destra e sinistra è obsoleta. La grandi questioni del nostri tempo, clima, disuguaglianza, rivoluzione tecnologica, non sono né di destra né di sinistra, ma hanno a che fare con stabilità del mondo. È questo che l’establishment in generale non ha capito”.
Destra e sinistra hanno avuto da sempre, sin dalla Convenzione francese del 1792 che ne ha riconosciuto le distanze, due idee diverse per favorire la crescita economica e di qui il raggiungimento dell’uguaglianza sociale tra gli individui. Pallante ricorda a questo punto che, come ha scritto Norberto Bobbio, è il concetto stesso di uguaglianza ad essere diverso se visto da un lato della barricata o dall’altro, concludendo che “l’elemento di fondo della loro contrapposizione consiste nell’atteggiamento assunto nei confronti del concetto di uguaglianza degli esseri umani”.
Di certo però destra e sinistra sono accomunate dalla stessa valutazione positiva del modo di produzione industriale. Perché hanno condiviso l’idea che “la finalizzazione delle attività economiche alla crescita della produzione di merci fosse un progresso perché consentiva di superare le ristrettezze e le scarsità che angustiavano la vita della maggior parte degli esseri umani, di ridurre la dipendenza della specie umana dalla natura e di diffondere il benessere”. Tuttavia, scrive Pallante: “Un progetto politico finalizzato a ridurre le diseguaglianze tra gli esseri umani, dopo la sconfitta dell’interpretazione storica che ne ha dato la sinistra, presuppone lo smantellamento delle industrie nocive e un recupero dell’agricoltura di sussistenza con vendita delle eccedenze, con l’obiettivo di raggiungere la massima autosufficienza alimentare”.
Destra e sinistra, quindi, addio. Sono le modalità per raggiungere l’uguaglianza tra individui che vanno ripensate. O meglio, devono trovare una nuova declinazione. Rimettendo al centro l’individuo e non il denaro, l’autosufficienza alimentare e non la sovrapproduzione o lo spreco, la spiritualità e non il materialismo e il consumismo sfrenato che governa le culture mondiali.
Ciò che occorre è la ricerca, o meglio la riscoperta, di una finalità più ragionevole da assegnare alle attività produttive, che non può più essere la crescita della produzione di merci, non soltanto perché una crescita infinita in un mondo finito è impossibile, ma anche perché il consumismo su cui si fonda crea uno stato di insoddisfazione permanente e, contrariamente a quanto si vorrebbe far credere, genera malessere anziché benessere.
Claudio Paudice