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Etiopia: inchiesta RAI un anno dopo l’inaugurazione di Gibe III

A distanza di quasi un anno dall’inaugurazione di Gibe III – la controversa diga realizzata in Etiopia dall’italiana Salini Impregilo, la giornalista Chiara Avesani è andata sul campo per RAI, per verificare gli effetti che il gigantesco progetto idroelettrico e le piantagioni agroindustriali ad esso associate stanno avendo sull’ambiente e sui popoli indigeni della bassa valle dell’Omo, in Etiopia, e del lago Turkana in Kenia.

Da quando sono iniziate le fasi di riempimento del bacino della diga, agli inizi del 2015, sono state fermate per sempre le esondazioni naturali del fiume Omo, da cui dipendono la straordinaria biodiversità del territorio e la sicurezza alimentare di almeno 100.000 indigeni in Etiopia e di circa 300.000 indigeni attorno al lago Turkana in Kenia. Sono minacciati interi popoli rimasti fino a ieri largamente autosufficienti in uno degli ambienti più fragili del pianeta. Tra questi i Mursi, i Bodi, i Kwegu, i Kara, i Nyangatom e i Dassanach sul fronte etiope, e i Turkana, gli Elmolo, i Gabbra, i Rendille e i Samburu in Kenia. A partire dal 2011 molte comunità etiopi hanno perso l’accesso a parte dei loro territori, da cui sono stati sfrattati a forza dal governo senza esser state nemmeno consultate preventivamente, come previsto per legge.

In risposta alle critiche internazionali, il governo etiope e Salini Impregilo si erano impegnati a rimediare all’interruzione delle piene naturali con delle esondazioni artificiali ma, anche secondo le immagini e le testimonianze trasmesse lunedì sera su RAI3 nel corso della trasmissione d’inchiesta “Indovina chi viene dopo cena”, negli ultimi tre anni non ci sono stati rilasci di acqua sufficienti ad alimentare e garantire i mezzi di sostentamento degli indigeni. Molti sono già ridotti alla fame e alla disperazione.

Guarda qui il servizio della trasmissione “Indovina chi viene dopo cena”.

“Prima eravamo autosufficienti, mangiavamo tranquillamente” ha raccontato un uomo kara alla giornalista. “Prima potevamo coltivare il sorgo sulle rive del fiume dopo che l’acqua rientrava dalle esondazioni, avevamo molte cose, bestiame, mucche, capre… Sono tre anni che non ci sono più esondazioni e la vita è molto difficile.”

Il progetti di sviluppo in corso nella valle dell'Omo stanno riducendo molte comunità indigene a dipendere dalle mance dei turisti e dagli aiuti alimentari del governo per sopravvivere. Prima erano largamente autosufficienti.

Il progetti di sviluppo in corso nella valle dell’Omo stanno riducendo molte comunità indigene a dipendere dalle mance dei turisti e dagli aiuti alimentari del governo per sopravvivere. Prima erano largamente autosufficienti.
© Survival

“Da quando l’acqua è scesa, è impossibile coltivare” ha raccontato invece un uomo dassanach. “Abbiamo provato a parlare con il governo, e ci hanno dato i tubi per irrigare, però non viene la stessa quantità di raccolto di quando coltivavamo sul limo delle esondazioni. Ora la mia vita dipende dai turisti e dagli aiuti alimentari del governo, ma non sono abbastanza.”

Nel gennaio scorso Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, si è ritirata formalmente dall’Istanza depositata nel marzo del 2016 contro Salini Impregilo presso il Punto di Contatto Nazionale italiano dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Nel testo Survival accusa l’azienda, tra altre cose, di aver violato le Linee Guida OCSE per aver privato le comunità delle loro ricchezze e risorse naturali senza averle prima consultate e senza avere il loro consenso previo, libero e informato.

A indurre Survival a ritirarsi dal procedimento sono state le condizioni poste dal Punto di Contatto per l’apertura della fase di mediazione – ritenute da Survival incompatibili con la necessità di continuare il proprio lavoro di advocacy in difesa dei popoli indigeni del territorio – e alcuni dei contenuti della Valutazione iniziale dell’Istanza fatta dal Punto di Contatto. Tra questi, come spiega Survival in una lettera ufficiale inviata al PCN, ci sono anche le presunte esondazioni artificiali, “accolte con favore” dal PCN nonostante Survival e autorevoli esperti indipendenti nutrano profonde riserve in generale sulla loro effettiva efficacia e fattibilità.

“Impoverimento, morte e ‘zoo umani’ sono un prezzo troppo alto da pagare al presunto ‘progresso’ e sono inaccettabili” ha dichiarato Francesca Casella, direttrice di Survival per l’Italia commentando il servizio di Indovina chi viene dopo cena. “Non ci potrà mai essere vero sviluppo senza giustizia sociale e ambientale. È ora che governi e aziende si impegnino a rispettare realmente le Linee Guida dell’OCSE, il cui scopo ultimo dovrebbe essere proprio quello di stimolare comportamenti imprenditoriali responsabili. Le violenze e le sofferenze inflitte sistematicamente ai popoli indigeni nel nome di un malinteso bene superiore sono una delle crisi umanitarie più urgenti e raccapriccianti del nostro tempo.”

Note
– Copie integrali della Valutazione iniziale dell’Istanza Survival International vs Salini Impregilo redatta dal Punto di Contatto Nazionale italiano dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e della sua Dichiarazione finale sono disponibili online sul sito dell’OCSE.
– Leggi la cronologia dei fatti salienti riguardanti il tema delle esondazioni artificiali riassunti da Survival così come sono emersi nel corso dell’Istanza.
– La regione della bassa valle dell’Omo e del Lago Turkana, già preziosa in quanto culla dell’evoluzione umana, è anche un’area di eccezionale biodiversità che conta due siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO e cinque parchi nazionali.
– Completata Gibe III, Salini Impregilo è ora passata alla fase successiva del piano di sviluppo idroelettrico previsto nella stessa valle dell’Omo: la costruzione di una quarta diga Gibe, che porta il nome di Koysha e per la quale ha chiesto il supporto finanziario di SACE.

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Genocidio in Amazzonia: cercatori d’oro “massacrano” Indiani incontattati

Prove dell’attacco? Queste case comunitarie degli Indiani incontattati, bruciate e avvistate nel dicembre del 2016, potrebbero essere segno di un altro massacro avvenuto nella Frontiera Incontattata. © FUNAI

I pubblici ministeri in Brasile hanno aperto un’inchiesta dopo le denunce del massacro di “più di dieci” membri di una tribù incontattata commesso da alcuni cercatori d’oro vicino a un remoto fiume amazzonico. Se i fatti saranno confermati, questo significa che fino a un quinto dell’intera tribù è stato annientato.

Due cercatori d’oro sono stati arrestati.

Gli omicidi sarebbero avvenuti il mese scorso lungo il Fiume Jandiatuba nel Brasile occidentale, ma la notizia è emersa soltanto dopo che i cercatori d’oro hanno iniziato a vantarsi degli assassinii, e a mostrare i loro “trofei” nella città più vicina.

Gli agenti dell’agenzia per gli affari indigeni del Brasile, il FUNAI, hanno confermato i dettagli dell’attacco a Survival International. Si crede che tra le vittime vi fossero anche donne e bambini. Il FUNAI e l’ufficio del pubblico ministero stanno indagando sull’accaduto.

L’area è conosciuta come la Frontiera Incontattata, poiché ospita più tribù incontattate di qualsiasi altro luogo al mondo.

Molte delle squadre governative che prima proteggevano i territori degli indigeni incontattati, hanno di recente subito tagli finanziari da parte del governo brasiliano, e hanno dovuto chiudere.

Indiani incontattati nell’Amazzonia brasiliana, nelle riprese aeree del 2010. © G.Miranda/FUNAI/Survival
Il governo del presidente Temer è fortemente anti-Indiano, e ha legami stretti con la potente e anti-indigena lobby agroalimentare del paese.

Anche i territori di due altre tribù incontattate vulnerabili – i Kawahiva e i Piripkura – sarebbero stati invasi. Entrambe le tribù sono circondate da centinaia di allevatori e invasori di terra.

Le tribù incontattate sono i popoli più vulnerabili del pianeta. Tuttavia, quando i loro diritti sono rispettati, continuano a prosperare.

Tutte le tribù incontattate rischiano la catastrofe se le loro terre non saranno protette. Survival sta facendo tutto il possibile per rendere le loro terre sicure, e per dare loro la possibilità di determinare autonomamente il proprio futuro.

“Se queste denunce saranno confermate, il presidente Temer e il suo governo avranno la pesante responsabilità di questo attacco genocida. I tagli ai finanziamenti del FUNAI hanno lasciato decine di tribù incontattate indifese contro migliaia di invasori – cercatori d’oro, allevatori e taglialegna – che vogliono disperatamente rubare e saccheggiare le loro terre” ha dichiarato Stephen Corry, il Direttore generale di Survival International. “Tutte queste tribù avrebbero dovuto avere le loro terre adeguatamente riconosciute e protette da anni – l’evidente appoggio del governo nei confronti di coloro che vogliono invadere i territori indigeni è del tutto vergognoso, e sta facendo arretrare i diritti indigeni in Brasile di decenni.”

Fonte: Survival.it