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Gentilezza Rispetto Cura

Un società che finalizza l’economia alla crescita della produzione di merci incentiva l’avidità e la competizione tra gli individui, perché il desiderio di avere sempre di più e più degli altri è una molla formidabile per indurre le persone a dedicare tutte le loro energie al lavoro per guadagnare più soldi possibile e accrescere il più possibile la propria capacità di spesa.

Nei luoghi di lavoro l’ambito della competizione è la carriera, dove inevitabilmente l’affermazione personale si realizza con la sconfitta degli altri e il cinismo è un ingrediente indispensabile che viene considerato un valore nei test di selezione dei quadri dirigenti. In alcune università degli Stati Uniti l’esigenza di selezionare i migliori ricercatori per mantenere al massimo livello gli standard dei diplomati post-laurea – e continuare a ricevere i contributi più alti dalle aziende private – induce a utilizzare, tra i criteri di ammissione ai livelli superiori, la verifica che i concorrenti, per prevalere sugli altri non si facciano scrupoli a stroncare le possibilità di carriera degli amici con cui hanno condiviso anni di studio e ricerca.

La conseguenza di questi modelli di comportamento sul lavoro è la diffusione di una modalità di rapporti con gli altri basata sulla prevaricazione e la cancellazione dall’immaginario collettivo della possibilità stessa di instaurare rapporti di collaborazione. Parallelamente l’esigenza di tenere alta la domanda richiede la rottura dei rapporti sociali fondati sulla solidarietà e la condivisione, perché le persone e le famiglie isolate devono acquistare tutto ciò che serve alla vita, per cui fanno crescere la domanda di merci più di quelle inserite all’interno di reti di solidarietà, che possono contare su forme di aiuto reciproco e di scambi non mediati dal denaro, ma sul dono reciproco del tempo.

I rapporti di scambio mediati dal denaro hanno progressivamente sostituito i rapporti d’amicizia disinteressati e costituiscono, soprattutto nelle grandi città, la maggior parte delle relazioni interpersonali. Se le relazioni ritenute significative sono quelle basate sulla compravendita, nei confronti di coloro da cui non si compra, o a cui non si vende nulla, non si prova alcun interesse. Al di fuori dei rapporti commerciali dilaga l’indifferenza. La maggior parte delle famiglie che vivono nei condomini non si conoscono tra loro. Di tanto in tanto succede che, se una persona che abita da sola in un appartamento muore, i vicini non se ne accorgano per mesi.

La valorizzazione dei rapporti conflittuali e la disincentivazione dei rapporti di mutua collaborazione non avrebbero avuto lo stesso potere di persuasione se il possesso di merci e il potere d’acquisto non fossero stati considerati il segno della realizzazione umana, da ostentare con l’intento più o meno consapevole di suscitare l’invidia di chi ne ha di meno. Questa ostentazione induce coloro che ne hanno di meno e condividono lo stesso sistema di valori, a considerarsi inferiori e a covare sentimenti di aggressività nei confronti di chi ne ha di più. Un’aggressività per lo più impotente nei confronti di chi la causa, che spesso trova uno sfogo inconsapevole contro nemici immaginati o avvelenando con accuse e risentimenti i rapporti più intimi.

La somma di questi fattori conferisce ai rapporti sociali vigenti nelle società industriali le connotazioni di una conflittualità diffusa e di una tensione latente, che si manifestano in forme sistematiche di prevaricazione dei più forti sui più deboli, in bullismo nelle scuole, in atti di vandalismo, in scoppi improvvisi di violenza incontrollata per futili motivi, negli scontri paramilitari tra opposte tifoserie calcistiche. Queste punte di aggressività emergono da un contesto di fondo d’intolleranza nei confronti delle minoranze e di chi la pensa diversamente, in modalità di discussione in cui nessuno ascolta ciò che dicono gli altri e cerca soltanto di imporre le proprie idee o la propria versione dei fatti. Questi modelli di comportamento sono diventati la regola nelle dinamiche interne ai partiti politici e nei rapporti tra i partiti politici. Vengono riproposti dai mass media che, con poche eccezioni, si sono trasformati da cani di guardia del potere in amplificatori di partiti e di gruppi economico-finanziari collegati da rapporti d’interesse con i partiti. L’effetto diseducativo che ne deriva è devastante.

Un progetto politico che si proponga di riportare il fine delle attività produttive dalla crescita della produzione di merci al miglioramento del benessere non soltanto delle generazioni umane viventi, ma anche delle generazioni future e dei viventi non umani, non può non proporsi di contrastare questi modelli di comportamento, restituendo valore alla collaborazione, alla solidarietà, al rispetto, all’ascolto e al tono di voce moderato, alla gentilezza, al superamento dell’indifferenza, all’attenzione nei confronti degli altri, al prendersi cura soprattutto dei più deboli, all’I care sostenuto da don Milani in contrapposizione al me ne frego di chi agisce con l’abito mentale dell’indifferenza e della prevaricazione.

Anche se la storia e l’esperienza della vita dimostrano una sistematica prevalenza della prevaricazione e dell’individualismo nei rapporti umani, gli studi paleontologici, gli studi antropologici e la pratica clinica propendono a ritenere che la tendenza innata nell’animo umano sia la pulsione alla collaborazione e alla solidarietà, perché sono più funzionali alla sopravvivenza della specie. L’individualismo e la sopraffazione, nonostante la valorizzazione che hanno ricevuto, non le hanno sradicate.
Il loro ritorno come valore nell’immaginario collettivo e nei modelli di comportamento può dimostrare che un altro modo di relazionarsi con gli altri, rispettoso, collaborativo, disinteressato e gentile, fa bene a chi lo pratica perché sottrae allo stress insito in una vita orientata dalla dismisura, toglie comburente all’aggressività e alla competizione sull’avere, attenua il clima di tensione in cui il modo di produzione industriale ha immerso gli esseri umani.

Un cambiamento comportamentale di questo genere è un tassello fondamentale di un progetto politico che non si limiti a proporsi di gestire in maniera più giusta, più ecologica e meno violenta un sistema economico e produttivo che nel suo modo di funzionare non può non generare iniquità, danni ambientali e violenza, ma si proponga d’iniziare un percorso finalizzato a cambiarlo.
Ad aprire una fase storica più evoluta di quella avviata due secoli e mezzo or sono dalla rivoluzione industriale, che si sta chiudendo nel peggiore dei modi possibili.

Un soggetto politico che si ponga questo obbiettivo apparentemente irraggiungibile, ma inevitabile, non può non applicare i valori della gentilezza, del rispetto e della cura nelle relazioni umane, a partire dalle sue dinamiche interne, e farne uno dei propri elementi costitutivi fondamentali.

 

Photo by Ludovic François on Unsplash

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IL FEMMINILE E LA SUA IMPORTANZA NELLA RIVOLUZIONE ECOLOGICA

femminile

di Giuliana Mieli

Quando parliamo del pericolo di estinzione che corre l’umanità, quando denunciamo l’ineguaglianza nella distribuzione delle ricchezze, quando chiediamo che l’economia passi dalla produzione di merci sostenuta dalla competitività e dalla sete di denaro alla sua vera funzione di sforzo per il miglioramento delle condizioni di vita, quando ci preoccupiamo giustamente per il destino delle generazioni future, quando ci battiamo per il recupero della spiritualità, in realtà alludiamo alla necessità di una profonda rivoluzione culturale.

Dobbiamo allora convenire che il neoliberismo è l’espressione ultima di un processo filosofico iniziato secoli fa all’insegna della superiorità del pensiero razionale e del suo dominio sulla natura attraverso il suo sfruttamento senza limiti: una superiorità umana guadagnata attraverso l’uso della scienza che scalza la razionalità teistica medioevale e la sostituisce con un’antropologia dell’onnipotenza dell’uomo e della sua ragione.

Si tratta di una imperdonabile semplificazione nell’interpretazione del reale che trascura completamente qualsiasi considerazione scientifica del mondo dei sentimenti e delle emozioni relegati nella competenza dell’interpretazione religiosa della vita. Infatti tutte le scienze sistematizzate dopo il Rinascimento hanno preso il paradigma galileiano-newtoniano come paradigma scientifico di interpretazione della realtà cui uniformarsi: anche le cosiddette “scienze umane”, medicina, biologia, antropologia, sociologia, economia.

Solo nel ‘900 Einstein e Heisenberg, ognuno nella specificità del proprio campo di indagine, dovevano superare il modello deterministico-meccanicistico imperante come inadatto a comprendere e descrivere la complessità dell’universo nella dimensione dell’estremamente grande e dell’estremamente piccolo. Compariva improvvisamente – a ridimensionare la fiducia umana nell’obiettività distaccata dell’osservatore – il concetto di “soggettività” che enfatizzava la posizione dell’uomo nell’universo come parte e non come padrone. L’uomo dunque avrebbe dovuto rivolgere verso se stesso uno sguardo scientifico non riduttivo e cercare di comprendere anche la propria natura per poterla servire adeguatamente.

La psicologia, che era arrivata buona ultima con il pensiero freudiano a pretendere per sé un carattere di scientificità si era però accontentata di uno schema interpretativo deterministico-meccanicistico in armonia con la fisica ottocentesca. Fu solo nel ‘900 – di nuovo – che un altro grande, John Bowlby, proponeva e dimostrava una interpretazione dell’affettività umana basata sulla relazione sociale e non sullo sfogo dell’istinto individuale: al principio del piacere si sostituisce la sicurezza della buona relazione. A partire dall’osservazione dei neonati rimasti orfani a Londra durante la seconda guerra mondiale, che morivano inspiegabilmente anche se nutriti e scaldati, si scoprì che soltanto il sincero coinvolgimento emozionale delle nurses che li accudivano riportava il sistema immunitario dei piccoli a funzionare per potersi difendere dalle epidemie. Dunque solo allora fu chiaro che la condizione necessaria per la sopravvivenza della specie umana è l’essere parte significativa all’interno di un rapporto d’amore e di preoccupazione affettiva. Ed essendo la cura del piccolo condizione necessaria per la sua sopravvivenza, Bowlby postulò che la natura non avesse lasciato al caso le modalità della cura per iscrivere invece gli atteggiamenti affettivi di base nella nostra costituzione biologica: i codici affettivi sono iscritti nella nostra corporeità, nel cervello limbico, nel sistema neuroendocrino, nel nostro substrato ormonale.

A partire dalla nascita l’atteggiamento di cura materno è assolutamente cruciale per sostenere la maturazione del cervello del piccolo umano che viene al mondo gravemente prematuro rispetto a ogni altro mammifero: l’imprinting fondamentale per il benessere fisico ed emotivo dell’individuo si situa nei primi tre anni di vita e costituisce la “base sicura” che permette la crescita, la fiducia nella vita e sostiene la creatività precipua di ognuno. Ci sono prove inconfutabili del danno arrecato dall’assenza o dalla sospensione delle cure che si trasmette e influenza l’intera vita creando immaturità, mancanza di identità, insicurezza, dipendenza: in tal modo rendendo più facile l’assoggettamento dell’individuo alle seduzioni del sistema.

Si potrebbe dire, assumendo un altro punto di vista, che l’Occidente nel suo lento svolgersi filosofico abbia trascurato totalmente la comprensione e la valutazione del ruolo della donna. Spingendola ai margini e riservandole la cura della casa e della prole, non si è reso conto che escludeva dalla conoscenza e dalla scala dei valori una funzione cardine per la sopravvivenza di tutti. Lo sguardo femminile sul mondo è uno sguardo valoriale diverso, complementare: il femminile privilegia il sentire al pensare non per escluderlo ma per ispirarlo. In prove sperimentali, di fronte a uno stato di stress, il maschio si allerta e prepara alla lotta e alla difesa, la femmina, invasa dall’ossitocina, riorganizza il campo vitale a favore e protezione dei più fragili. Il femminile è capace di identificarsi con l’altro da sé, protegge il più piccolo, esprime generosità e partecipazione, condivide e pacifica: la donna racchiude e protegge dentro di sé qualità fondamentali per la relazione e la sopravvivenza, istinti di base dell’essere umano quanto l’esplorazione e la creatività manuale e mentale.
In questo senso il femminile non è la donna anche se è la donna che racchiude maggiormente questi valori nella sua funzione e attenzione: c’è un femminile nel maschio che lo predispone a comprenderla e a condividere gli obiettivi della sopravvivenza così come c’è un maschile nella donna che le permette di saldarsi e cooperare con l’uomo. Dobbiamo ripulire questi codici affettivi dalla distorsione culturale che hanno subito e siccome la distorsione è andata nel senso di una ipervalorizzazione del pensiero astratto dobbiamo ristabilire la concretezza di uno sguardo capace di curare il mondo.

Nella lotta per la parità e per i diritti la donna non deve rinunciare alla propria originale espressione per spalmarsi sui modelli maschili egoipertrofici esistenti: deve invece rivendicare e conservare orgogliosamente la propria specificità senza considerarla una tara per la realizzazione di sè, ma anzi una ricchezza non solo spendibile nel mondo privato della vita sentimentale e della cura ma anche in campo sociale, nella politica e nell’economia per collaborare a trasformarle in strumenti che lavorino veramente per la sopravvivenza e il benessere, nel miglioramento delle relazioni fra gli esseri umani.

Un primo passo in questo senso parte da una valorizzazione emotiva della nascita che va liberata da una medicalizzazione eccessiva tesa a sottrarre alla donna non solo la propria innata creatività ma la comprensione della sacralità del suo ruolo.

Un altro passo è la necessità che l’economia comprenda il valore aggiunto di una genitorialità rispettata e protetta che garantisca la crescita di cittadini sani sia fisicamente che mentalmente con un non trascurabile risparmio economico. Nei primi tre anni di vita del bambino entrambi i genitori dovrebbero essere messi nelle condizioni di curare la loro creatura con una riduzione cospicua del loro orario di lavoro – che riguardi il padre o la madre – senza che questo si traduca in una impossibilità di sopravvivenza economica o di affermazione lavorativa.
La diffusione acritica degli asili nido a partire dai primi mesi di vita, sostenuta da tutti i partiti politici, svela la non conoscenza di uno sviluppo del sapere psicologico, sostenuto dalla epigenetica e dalla psiconeuroendocrinologia, che situa il benessere emotivo dell’individuo nell’ambiente affettivo relazionale in cui si sviluppa e cresce, sorretto dalla presenza amorosa del grembo che lo ha contenuto e che lo accompagna gradualmente verso un incontro felice con la vita nell’intreccio con l’esempio e la scorta preziosa della figura paterna.

Senza trascurare il fatto che il cammino maturativo verso la piena autonomia occupa secondo l’OMS 24 anni durante i quali la presenza di adulti partecipi è fondamentale per una crescita equilibrata e sicura: e ciò riguarda in primis i genitori e secondariamente gli insegnanti e tutti gli adulti significativi che il bambino e poi il ragazzo incontra sul suo cammino di crescita. La deprivazione di una presenza genitoriale amorevole e partecipe segna per tutta la vita.

Con buona pace del neoliberismo.

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PENSIONI: DALLA RENDITA DIFFERITA AL SISTEMA DI SOSTEGNO ALLA TERZA ETA’

Pubblichiamo una riflessione sul tema del sistema pensionistico inviataci da Maurizio Franca, uno dei sottoscrittori dell’appello.

Il principio di ogni sistema pensionistico attuale è quello di accantonare parte del proprio reddito da lavoro per poter avere un sostegno nell’ultima parte della vita in cui siamo fuori dal sistema produttivo.

Salvo casi di evasione fiscale, il sistema pensionistico fino ad oggi è finalizzato a garantire condizioni economiche simili a quelle che abbiamo avuto durante la nostra attività lavorativa: chi ha avuto un significativo reddito nel lavoro potrà continuare a vivere in modo sereno, mentre chi ha dovuto cavarsela con lavori saltuari e/o poco pagati, continuerà a vivere in modo precario.
Ma il futuro appare ancora più complesso perché sembra ampliarsi la platea delle persone che arriveranno all’età pensionabile con un accantonamento esiguo.
Il problema infatti che si pone sempre di più è quello della precarietà del lavoro che non sembra in grado, per una parte consistente dei futuri pensionati, di creare quella rendita adeguata a offrire risorse economiche sufficienti a garantire una prosecuzione dignitosa della propria esistenza.
Non potendo disporre di risorse significative per poter affrontare l’emergenza che si creerà, occorre pianificare una rivoluzione del sistema pensionistico da realizzare progressivamente nei prossimi 20/30 anni finalizzata ad effettuare una progressiva traslazione dal concetto di pensione come rendita differita a pensione come sostegno alla dignità delle persone nella cosiddetta “terza età”.

Parliamo di rivoluzione e di uno sviluppo decennale del processo di cambiamento perché dobbiamo essere in grado di modificare tutto l’assetto legislativo che oggi impedisce di effettuare interventi immediati se questi vanno a toccare i cosiddetti “diritti acquisiti”, salvo che si tratti di interventi emergenziali, coerenti e limitati nel tempo.
Dovremo quindi pensare ad un periodo piuttosto lungo che preveda una progressiva mutazione della finalità dei contributi pensionistici versati che li trasformi in accantonamenti collettivi necessari a creare risorse per sostenere la comunità nel suo insieme, offrendo così a tutti la possibilità di avere risorse economiche per vivere serenamente la parte restante della propria esistenza.
Non parleremo quindi più di pensioni, ma di un sostegno di dignità che decresce fino ad azzerarsi in presenza di rendite da capitale oltre un certo importo (es. 15.000 annui netti), tenendo presente che già oggi per una parte delle pensioni si parla di pensioni “minime” o di “reversibilità” che non scaturiscono direttamente dai contributi versati da quel contribuente.
Le somme disponibili che eccedono questa prima distribuzione andranno ad aumentare il sostegno in proporzione alla contribuzione che ogni persona avrà dato durante la sua vita lavorativa continuando a creare meccanismo di riduzione in presenza di rendite aggiuntive fino al possibile azzeramento e prevedendo comunque un importo massimo netto mensile (es. € 2.000). Cioè l’idea è di mantenere una certa differenziazione in considerazione dei contributi versati, ma ponendo un limite massimo e prendendo in considerazione anche eventuali altri redditi che vanno a ridurre il sostegno “pubblico”.

Per la definizione del sostegno minimo, di quello massimo e delle riduzioni in presenza di altri redditi sarà auspicabile definire delle attività di adeguamento nel tempo in considerazioni delle proiezioni future sviluppate in base all’andamento dell’economia e delle aspettative di vita al fine di garantire la sostenibilità del sistema nel tempo.
Teniamo presente che persone che hanno goduto di redditi elevati che in base al sistema attuale avrebbero “diritto” ad un sostegno più elevato potranno contare comunque su capitali finanziari capaci di arrotondare la propria capacità di spesa.

Se parliamo di numeri prendendo come riferimento i dati sulle pensioni del 2015 che vedono un esborso di circa 280 mld., tenendo presente la consistente ricchezza privata detenuta dalle famiglie si può ipotizzare una ridistribuzione delle risorse verso il basso che permetta ai circa 8 mil. di pensionati che si trovano nella prima fascia (max € 501,89 al mese) di arrivare a € 700/800 euro. Calcoli più precisi si potranno fare avendo a disposizione i dati sulle ricchezze finanziarie e patrimoniali.
La rivoluzione ipotizzata deve necessariamente rappresentare un tassello di una rivoluzione sistemica che rimette al centro l’interesse per il sostegno dell’intera comunità in termini di dignità, solidarietà, sussidiarietà in cui altri importanti temi da trattare con lo stesso approccio devono essere il sistema fiscale, il mercato del lavoro, la sobrietà retributiva, servizi essenziali pubblici e la compatibilità ambientale del nostro sviluppo.

Maurizio Franca

 

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