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Pesca eccessiva e distribuzione incontrollata. Fao: “Uso responsabile delle risorse ittiche”

L’ultimo rapporto sullo Stato della pesca e dell’acquacoltura dell’agenzia dell’Onu segnala la preoccupante crescita del commercio e del consumo, che mette a repentaglio la biosostenibilità

di GIAMPAOLO CADALANU

 

Il miracolo di moltiplicare i pani, alla Fao lo sanno bene, è tutt’altro che facile. Ma ora serve anche qualcuno che sappia moltiplicare i pesci, perché la generosità degli oceani sta per raggiungere il limite. Le abitudini alimentari stanno cambiando in tutto il pianeta, l’attenzione ai prodotti della pesca aumenta, e secondo l’ultimo rapporto dell’agenzia Onu sullo Stato della pesca e dell’acquacoltura ormai il consumo pro capite è arrivato a 20 chilogrammi l’anno, pari a circa il 6,7 per cento delle proteine totali. Il consumo è a livelli doppi rispetto agli anni Settanta, e cresce a ritmi molto superiori alla crescita della popolazione. Come dire che la passione per il pesce aumenta proprio mentre il patrimonio sottomarino dà evidenti segni di esaurimento. Ma più che un allarme, quello della Fao è un invito all’utilizzo responsabile, tanto più che l’allevamento è ormai in grado di fornire quasi la metà del pesce che finisce in tavola.

Secondo il rapporto dell’agenzia, “quasi un terzo degli stock di pesce sono prelevati a ritmi biologicamente insostenibili”, cioè a livelli triplicati rispetto a quarant’anni fa, con una velocità che non permette il ricambio. La situazione è ancora più preoccupante per il Mediterraneo e per il mar Nero: nelle acque di quest’ultimo il pesce pescato a livelli insostenibili raggiunge il 59 per cento. A rischio sono i pesci sui piatti di tutti i giorni: orate, merluzzi, muggini, sogliole. “Ormai i margini per aumentare le catture sono molto ridotti”, dice il biologo Alessandro Lovatelli, tecnico della Fao, “ci sono invece spazi di miglioramento nel sistema di distribuzione, è un’area in cui si può fare molto per evitare gli sprechi”.

Nel 2014 il prelievo ha raggiunto 93,4 milioni di tonnellate: in testa il merluzzo d’Alaska, definito “la più grande riserva di pesce commestibile nel mondo”, ha superato l’acciuga del Cile, ma è andata bena anche la pesca di tonno, gamberi, crostacei e cefalopodi. A inseguire il tesoro sommerso sono 4,6 milioni di barche da pesca, il 90 per cento attive nelle acque di Asia e Africa. E in gran parte si parla di attività di piccola scala: secondo il rapporto Fao solo 64 mila sono lunghe 24 metri o più.

L’esportazione del pesce “vale”, stando ai dati del 2014, attorno ai 148 miliardi di dollari: ma è fondamentale soprattutto per i paesi in via di sviluppo, che ne ottengono ricavi superiori all’esportazione di carne, tabacco, zucchero e riso messi insieme. Ma più che la pesca, la carta vincente è l’acquacoltura, attualmente in grado di produrre 73,8 milioni di tonnellate di pesce, crostacei e molluschi per l’alimentazione umana. E metà di questa produzione viene da specie non alimentate dall’uomo, e dunque non comporta il sacrificio di altre proteine sottraendole all’uso umano. “E bisogna smentire il mito della minore qualità del pesce allevato: in genere il prodotto dell’acquacoltura è più controllato, perché si può scegliere l’alimentazione e monitorare la fase di produzione primaria. Prendiamo il salmone: nonostante sia per la maggior parte di allevamento, è di fatto un pesce di qualità. Ha un prezzo elevato perché l’offerta non basta a soddisfare la domanda”, spiega Audun Lem, vice direttore della Divisione Politiche Ittiche e Acquacoltura della Fao: “Quello che conta è che il lavoro sia fatto bene e che si rispettino le buone pratiche. L’acquacoltura è un lavoro che non si può improvvisare, l’allevatore che sbaglia va fuori mercato”. Meno ottimista Serena Maso, della campagna Mare di Greenpeace, secondo cui “al momento l’acquacoltura comporta ancora problemi di inquinamento che ci fanno considerare più sostenibile il consumo di pesce pescato”.

A guidare il boom nell’allevamento subacqueo non sono in genere i Paesi sviluppati, a parte la Norvegia, che è il secondo esportatore mondiale: in testa c’è la Cina, ma anche Vietnam, Cile, Indonesia e tante nazioni africane stanno facendo la loro parte, tanto che la Nigeria ha moltiplicato per venti la sua produzione negli ultimi vent’anni.
Gli esperti però sanno che il contributo dell’acquacoltura non compensa i danni della pesca illegale, con prelievi sproporzionati, spesso non autorizzati dai paesi costieri oppure concordati da regimi autoritari, a danno dei piccoli pescatori. Adesso però qualche motivo di ottimismo c’è: nei giorni scorsi è entrato in vigore l’Accordo internazionale sulle misure per gli stati di approdo, che impone controlli ai pescherecci nei paesi dove vanno a scaricare il pescato. “E’ una novità positiva, ma solo un primo passo”, chiarisce Serena Maso, “i controlli riguardano le barche straniere, ma servirebbero anche per le flotte nazionali”. E resta il problema dello sfruttamento eccessivo, delle monster-boat, navi immense che svuotano i mari, stivando anche 3700 metri cubi di pesce e di fatto rendendo impossibile la concorrenza impossibile dei pescatori artigianali. “Ma è la pesca tradizionale, con mezzi non industriali, ad avere effetti economici positivi sulle comunità costiere. E invece ormai i pescatori non trovano mercato per i loro pesci, troppo cari. E finisce che nelle mense scolastiche anziché prodotti del Mediterraneo per risparmiare si serve il pangasio del Mekong, pescato in uno dei fiumi più inquinati del mondo”.

Fonte: Repubblica.it

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La febbre del Pianeta è salita ancora nel 2015

Il rapporto “Lo Stato del Clima nel 2015” redatto da oltre 450 scienziati di 62 Paesi evidenzia le allarmanti prospettive che si presenteranno a livello globale a seguito degli impressionanti record raggiunti da una serie di indicatori climatici.

 

Il 2015 è stato inequivocabilmente l’anno più caldo mai registrato per la Terra con 1,0 °C in più rispetto all’era preindustriale, le concentrazioni dei 3 principali gas a effetto serra (diossido di carbonio, metano e protossido di azoto) hanno raggiunto livelli record, l’innalzamento delle acque dei mari ha toccato il suo livello più alto con un incremento di 3,3 mm e la quantità di precipitazioni è aumentata di 70 mm rispetto alla media degli anni ’90, ma al contempo il Pianeta ha anche sofferto di severe siccità su una superficie complessiva doppia rispetto al 2014: dall’8% al 14%.

Questi ed altri impressionanti risultati dei 50 diversi indicatori climatici dell’anno trascorso che continuano a riflettere le tendenze coerenti con la febbre della Terra che aumenta, sono contenuti nel Rapporto “State of the Climate in 2015” redatto da oltre 450 scienziati di 62 Paesi, coordinati dalla NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) e publicato il 2 agosto 2016 nel Supplemento speciale del Bollettino della Società Meteorologica Americana.
Credo che il tempo di chiamare il medico sia stato nei decenni trascorsi – ha dichiarato Deke Arndt, a capo della Divisione il monitoraggio del clima della NOAA  e tra i principali autori del Rapporto – Ora siamo di fronte ha una molteplicità di sintomi“.

Ecco in sintesi i 10 risultati più eclatanti contenuti nel Rapporto 2015.
1. La temperatura globale della superficie terrestre è stata la più alta mai registrata. Nel 2015 il record stabilito appena l’anno prima è stato battuto con un +0,1 °C, superando per la prima volta di 1 °C i livelli di temperatura media globale dei livelli preindustriali.
2. Le temperature superficiali dei mari sono risultate egualmente le più alte mai registrate. La temperatura media marina è stata di 0,33-0,39 °C sopra la media, superando la media precedente di 0,10-0,12 °C. La più alta temperatura rispetto alla media si è verificata nella parte nord-est del Pacifico e nel Pacifico equatoriale orientale, mentre il nord Atlantico e il sud-est della Groenlandia sono rimasti più freddi rispetto alla media. Queste acque molto più calde hanno notevolmente aumentato l’attività dei cicloni tropicali.
3. La quantità di calore immagazzinata dagli oceani è stata la più alta mai registrata. A livello globale il calore accumulato negli strati superiori degli oceani è stato il più alto mai registrato. Gli oceani assorbono circa il 90% del calore in eccesso della Terra.
4. Il livello globale dei mari è il maggiore mai registrato. Si è raggiunto nel 2015 il nuovo record di 70 mm rispetto alla media del 1993, l’anno che segna l’inizio del record misurato con i satelliti. Nel corso degli ultimi due decenni, il livello del mare è aumentato ad un tasso medio di 3,3 mm all’anno, con i più alti tassi di crescita negli Oceani Pacifico e Indiano occidentale.
5. Il fenomeno di El Niño è stato di eccezionale portata. Oltre ad elevare le temperature globali, l’El Niño ha sollevato il livello del mare, ha intensificato l’attività del ciclone tropicale del Pacifico e provocato siccità nelle parti dei tropici con crescità di incendi e rilascio di anidride carbonica.
6. La concentrazione di gas serra ha raggiunto il livello più alto mai registrato. Il biossido di carbonio (CO2), il metano e il protossido di azoto, sono saliti a valori record durante il 2015. La concentrazione media annua di CO2, secondo l’osservatorio di Mauna Loa (Hawaii), è risultata pari a 400,8 parti per milione (ppm), superando per la prima volta il limite simbolico delle 400 ppm, con 3.1 ppm oltre il 2014, il più grande incremento annuo osservato nel corsi di 58 anni.
7. I cicloni tropicali sono stati ben al di sopra della media generale. Ci sono stati 101 cicloni tropicali in tutti i bacini oceanici nel 2015, ben al di sopra della media 1981-2010 di 82 tempeste. Il Pacifico centrale ha visto succedersi 26 cicloni. Anche la parte occidentale del Nord del Pacifico, e i bacini settentrionali e meridionali dell’Oceano Indiano hanno registrato un’intensa attività. Viceversa, l’attività dei cicloni nel nord Atlantico è stata più debole del 68% del valore medio del periodo 1981-2010, con l’uragano Joaquin che ha coperto quasi la metà di tale valore.
8. Il ghiaccio marino artico ha avuto la sua minima estensione. Nel febbraio 2015, la massima estensione del ghiaccio marino nell’Artico è stato del 7% inferiore della media 1981-2010, il livello più piccolo mai registrato. Le temperature della superficie terrestre artica è stata superiore di 2,8 °C a quella dei primi anni del 20° secolo.
9. I ghiacciai hanno continuato la loro contrazione. L’anno scorso ha segnato il 36° anno consecutivo del contrarsi dei ghiacciai alpini a livello globale. I numeri sono del tutto in linea con quelli rilasciati nello Studio del Politecnico federale di ZurigoContrasting climate change impact on river flows from high-altitude catchments in the Himalayan and Andes Mountains” e pubblicati lo stesso giorno sulla PNAS, secondo cui sull’Himalaya e sulle Ande gli effetti del riscaldamento globale saranno addirittura opposti: il primo nei prossimi decenni sarà soggetto a inondazioni sempre più frequenti, mentre il secondo vedrà acuirsi la siccità.
10. I fenomeni estremi hanno raggiunto la loro maggiore intensità.

schema cambiamenti climatici

Fonte: regioneambiente.it